I pediatri: “Il ferro è necessario per lo sviluppo neurologico, calibrarlo nella dieta dei bimbi”

CASERTA – “Nel vissuto popolare, ma anche in quello della classe medica, il ferro viene spesso relegato al ruolo eritropoietico, cioè alla produzione di globuli rossi e di emoglobina. In realtà questo elemento, il più diffuso sulla crosta terrestre, ha funzioni importantissime per l’immunità innata, per l’immunità adattativa e, nelle prime epoche di vita, per lo sviluppo neurologico. Parliamo di strutture raffinate come la mielinizzazione, la ramificazione dendritica dei neuroni e quant’altro”. Lo ha detto Vito Leonardo Miniello, docente di Nutrizione pediatrica, direttore dell’unità operativa di Nutrizione all’Università di Bari e vice presidente nazionale della Società italiana di pediatria preventiva e sociale, intervenuto a Caserta nel corso del XXXIII Congresso della SIPPS.

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Bimbi allattati al seno, quando cominciare lo svezzamento? “Dopo i sei mesi”

“Al momento della nascita, la mamma ha in serbo per il suo cucciolo tre doni: la vita, il latte materno e una buona dose di batteri che trasferisce al figlio attraverso il canale da parto, che costituiscono il microbiota intestinale, purtroppo solo nei bambini nati da parto naturale e non da parto cesareo”. Il vice presidente SIPPS ha poi aggiunto che “uno degli altri doni supplementari che madre natura non ci fa mai mancare è una buona scorta di ferro di deposito, che accompagnerà il lattantino nei suoi primi sei mesi di vita”. Miniello ha poi sottolineato che “per anni, per presunzione, abbiamo creduto che il modesto tenore di ferro del latte materno fosse una sorta di tallone d’Achille, anche se ne riconoscevamo l’alta biodisponibilità. Ma se lo guardiamo da un punto di vista filogenetico, cioè nel corso della sua evoluzione, non dobbiamo dimenticare che il ferro viene conteso tra cellule del nostro organismo e batteri patogeni che lo ‘scippano’ per riprodursi. Immaginiamo un ominide con il suo cucciolo attaccato al seno: se il latte fosse stato ricco di ferro avrebbe approvvigionato i germi che aspettavano al di fuori del capezzolo e quindi il piccolo avrebbe corso il rischio di una gastroenterite, che all’epoca, e fino ai primi del ‘900, era decisamente letale”.

Miniello ha poi proseguito dicendo che ”madre natura ha fatto le cose perfette e quando pensiamo che ci siano talloni Achille si tratta solamente della nostra ignoranza”. Il professor Miniello si è quindi soffermato sull’eventualità “che se il latte materno dovesse essere inadeguato da un punto di vista quantitativo o dovesse mancare o una mamma dovesse avere dei problemi lavorativi, allora bisognerà concordare con il pediatra di fiducia l’inserimento di un latte formula. Al momento di somministrare la prima pappa dobbiamo pensare che parliamo di alimentazione complementare- ha ricordato lo specialista- un passaggio delicato di alimentazione che parte dai 6 mesi e finisce ai 24, una sorta di ‘finestra temporale alimentare’ che va dall’alimentazione esclusivamente lattea ad una tipicamente di famiglia”. Miniello ha poi dichiarato che “si è visto che il tipo di nutrienti, macro e micro, il tipo di alimentazione è uno dei fattori epigenetici ambientali più importanti nel determinare lo sviluppo o meno di malattie cronico degenerative dell’età adulta, come obesità, diabete o ipertensione, ma anche tumori che, grazie ad un’alimentazione ragionata, e guidata dalle conoscenze del pediatra, può creare individui più sani”.Miniello ha poi informato che “al momento del divezzo posso avere a che fare con due ‘tipologie’ di lattanti: quello gratificato dal seno e quello alimentato con formula. Ovviamente il latte materno contiene poche proteine, ma sempre con un loro razionale e poco ferro. Il latte formula, invece, contiene un livello proteico più elevato del latte materno, un sistema biologico unico e inimitabile!”.

Miniello ha poi aggiunto: “Quando dobbiamo consigliare una prima pappa a un lattante alimentato al seno, potrò compensare con omogenizzato di carne. Grazie al ferro potrò compensare questo ridotto ma razionale quantitativo di proteine del latte materno e, quindi, di conseguenza, anche il ferro. Ma se avrò a che fare con un lattantino alimentato esclusivamente o prevalentemente con latte formula, dovrò prescrivere una dieta su misura, senza però medicalizzarla. Vale a dire, ad esempio, una riduzione del parmigiano, che ha un carico proteico e salino elevato, e fare bene attenzione all’eccesso di proteine, perché non devo superare il 15% dell’energia totale da proteine. Si è infatti visto che “nelle prime epoche di vita l’eccesso proteico induce la la produzione di sostanze ormonali, insulino-simili, responsabili di obesità in stagioni future della vita”.

L’esperto ha poi aggiunto: “Fare un divezzo su misura, vuol dire creare un dialogo con la mamma e spiegare tutto questo, perché il ferro è un’arma a doppio taglio: è un elemento davvero bizzarro, perché nelle sue reazioni di ossidoriduzione produce radicali liberi. Per esempio, da lavori scientifici in doppio cieco, è emerso che in lattanti con stato marziale ottimale, la somministrazione di ferro per via farmacologica, vuoi le goccine, vuoi gli integratori, va a creare un sovraccarico a livello delle strutture nervose, penalizzando particolarmente un’area cerebrale delicatissima e filogeneticamente antica, quale l’ippocampo, con alterazioni delle sue funzioni di traduzione della memoria breve in memoria a lungo termine ed altre funzioni preziose”.

Miniello ha dunque ricordato l’importanza di “evitare l’eccesso di ferro e di razionalizzarne la sua supplementazione. L’eccesso di ferro può inoltre alterare la composizione del microbiota intestinale, che non è una massa di batteri che ospitiamo nell’intestino, è invece un vero e proprio organo microbico che ha funzioni vitali per lo sviluppo del sistema immunitario e metabolico , in rodaggio per il lattantino. Quindi, un eccesso di ferro può penalizzare la composizione del microbiota, favorendo per esempio germi patogeni o potenzialmente tali, come i patobionti come la salmonella o l’Escherichia coli”.

Il vice presidente SIPPS ha infine invitato a non dimenticare che “quando abbiamo determinato che il lattantino allattato al seno può farcela da solo se nato a termine con i primi sei mesi di vita solo con latte materno, altre società scientifiche, come ad esempio quelle americane, introducono già a 4 mesi le goccine di integratore. Noi, invece, non siamo in pieno accordo e valutiamo in maniera diversa le caratteristiche di questo importantissimo elemento che, però, ha una doppia lama e una può risultare tagliente”, ha concluso.

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