Libano, spari a Beirut: morti, scuole chiuse e militari in strada

ROMA – “Il clima in città è molto teso e ci sono numerosi militari dispiegati in diverse zone. Già ieri sera si immaginava uno scenario del genere, tant’è che mi era stato detto di rimanere a casa e che sono state anche chiuse delle scuole”. La testimonianza è di Oliviero Garcia, laico consacrato del movimento dei Focolari, che lavora per il vicario apostolico latino di Beirut, la capitale del Libano.

L’agenzia Dire lo raggiunge al telefono a qualche ora da una serie di sparatorie nel centro della città che, stando a bilanci ufficiali, hanno provocato la morte di sei persone e il ferimento di almeno altre 30. Ad affrontarsi esponenti di Hezbollah, del partito Amal e milizie delle Forze libanesi, un movimento cristiano maronita, stando almeno a quello che hanno denunciato i due primi gruppi, entrambi espressione della componente musulmano-sciita.

Hezbollah e Amal, la cui ricostruzione della giornata è stata parzialmente confermata dall’esercito regolare, avevano organizzato una manifestazione davanti al Palazzo di giustizia per chiedere la rimozione di Tarek Bitar dal ruolo di giudice incaricato delle indagini sull’esplosione al porto di Beirut. La deflagrazione si è verificata il 4 agosto 2020 e ha provocato 218 morti, migliaia di feriti e la distruzione di un’intera zona della capitale. Da allora le indagini proseguono, nonostante figure di primo piano della politica e delle forze armate libanesi, accusate di varie forme di negligenza e responsabilità, abbiano cercato di sottrarsi a qualsiasi coinvolgimento sul piano giudiziario.

Secondo i miliziani e gli attivisti che sono scesi in strada oggi, Bitar, già sospeso e poi reintegrato il mese scorso dopo la denuncia di un ex ministro degli Interni chiamato a testimoniare, Nouhad Machnouk, è politicamente condizionato. I primi colpi di arma da fuoco sono stati esplosi nel pomeriggio nel quartiere di Tayyoune, non lontano dal Palazzo di giustizia.

“Io sono andato comunque a lavoro anche se mi avevano avvertito di non andarci a causa delle possibili tensioni”, riferisce Garcia, nativo del Paraguay, 42 anni di cui poco più dell’ultimo a Beirut e i sette precedenti in Giordania. “Mi sono recato poco fuori città ma poi sono dovuto tornare in tutta fretta, una volta che la televisione ha iniziato a mostrare le immagini degli scontri”.

Sono passate alcune ore, l’emittente regionale Al Jazeera ha riferito di un ritorno a una sostanziale calma mentre il quotidiano locale L’Orient le Jour ha parlato di grande paura tra le scuole della zona. Garcia conferma che “il clima è ancora teso” e aggiunge: “Molte scuole della zona non hanno proprio aperto, quelle che lo hanno fatto però hanno dovuto chiudere poco dopo a causa delle sparatorie”.

Un’altra giornata di tensione che pesa come un macigno sugli abitanti di Beirut, circa 2,3 milioni se si conta anche l’area metropolitana, da mesi alle prese con le conseguenza dell’esplosione al porto, la pandemia di Covid-19, i rincari dei prezzi causati dalla volatilità della lira libanese e i problemi nell’approvvigionamento di carburante e beni essenziali.

A questo si aggiunge anche l’instabilità della politica. L’ultimo governo è stato approvato dopo diversi tentativi falliti il 21 settembre. A guidarlo Najib Mikat, l’uomo più ricco del Paese secondo la rivista Forbes. “La gente è davvero stanca” dice Garcia: “A volte mi chiedo come faccia a resistere a tutti questi problemi”.

Il contesto è segnato da grandi ristrettezze. “Lo stipendio di un insegnante qui a Beirut è di circa un milione o 1,2 milioni di lire”, dice Garcia. “Oggi ho fatto benzina, neanche il pieno, e ho pagato 500mila lire. In una città dove il trasporto pubblico è praticamente assente, credo che questi numeri facciano capire l’entità del problema”.

Difficoltà che si sommano e che provocano, a volte, anche disperazione. “Sappiamo che il numero dei suicidi in città è in grande aumento, le persone sono costantemente alla ricerca di un modo per riuscire ad arrivare a fine mese”, denuncia Garcia, convinto che anche la noia, in una città sempre più in ambascie, possa fare del male. “Vedo palazzine piene di signori anziani o soli – dice – dove la corrente c’è un’ora al mattino e un’ora alla sera: cosa possono fare?”.
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