Digitale, esperti al festival della diplomazia: “Cybersecurity sia cultura”

Di Giulio Ucciero

ROMA – L’informatica non è più un qualcosa di lontano ma, al contrario, è in ogni aspetto del nostro mondo. Serve quindi un cambio di prospettiva per capire come difendere quello che ci circonda. Questo il tema di ‘Ready for a Pearl Harbour Digital Attack?’, l’incontro sulla cybersicurezza che si è tenuto nel pomeriggio al Centro studi americani di Roma, nella cornice del Festival della diplomazia.

Alla domanda posta dal titolo (‘Siamo pronti a una Pearl Harbour digitale?’) ha risposto subito Roberto Baldoni, da agosto a capo dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale: “No, non lo siamo, ma dobbiamo iniziare a intraprendere un percorso chiaro e sviluppare una resilienza a livello di sistema Paese”.

La necessità di avanzamento nel campo della sicurezza informatica è strategica per tanti Paesi. Con il decreto legge 82, il governo guidato da Mario Draghi ha fondato una struttura centrale apposita, a seguito degli attacchi tramite ramsomware ai software della Regione Lazio. L’Agenzia è “operativa da settembre”, ha ricordato Baldoni, parlando anche di un paradosso: “Il problema dei sistemi digitali è che sono fatti da umani, quindi sono vulnerabili”. Gli attacchi cyber sono però sempre più frequenti e secondo Baldoni “non tutti possono essere evitati”. “La società deve fare sua la cultura della sicurezza” ha detto il direttore dell’Agenzia. “Dopodiché, essendoci il rischio, dobbiamo capire come alzare di più le difese. Se è un gioco, giochiamolo”.

Essenziale quindi avere forza lavoro capace di proteggere dati e informazioni sensibili dagli hacker. Un aiuto nella formazione arriva anche dai privati, come Kaspersky, azienda russa che fornisce anche “percorsi di digitalizzazione per istruire ed educare alle minacce digitali”. Maura Frusone, che per Kaspersky è Head of Channel in Italia, ha chiarito che “i ramsomware sono un problema ricorrente in tutto il mondo, ma il nostro Paese è uno dei più colpiti”. Frusone ha aggiunto: “Tante infrastrutture strategiche sono a rischio”.

L’arte della cybersecurity, che riunisce sotto un unico cappello tutte le pratiche utili per gestire i rischi informatici, deve essere insegnata. In Italia però mancano i lavoratori specializzati, hanno concordato i relatori.

Eppure, sono già tanti i servizi in situazione critica. Ne è convinto Ranieri Razzante, consigliere per la cybersecurity del sottosegretario alla Difesa: “Il problema è la regola di ingaggio. Dobbiamo formare nuove figure capaci di attaccare, non solo di difendere”. Secondo Razzante, c’è anche disinformazione: “Il cittadino non conosce e spesso confonde la cybersecurity con la privacy”.

Un’occasione arriverà dal Pnrr, dove molti fondi sono destinati a progetti di intelligenza cibernetica, ha sottolineato Domitilla Benigni, direttrice generale di Elettronica. Secondo la dirigente, l’Italia deve investire tanto nel settore, perché “anche se ora non ha tecnologia sovrana, il nostro Paese ha i cervelli e la cybersecurity si basa molto sulla logica e la competenza”.

Se in Italia sta nascendo una competenza maggiore, da tempo in campo militare gli attacchi cyber sono osservati speciali. A evidenziarlo Fabio Rugge, capo ufficio competenze per la Nato presso il ministero degli Esteri. Per l’Alleanza atlantica, ha detto, “un attacco cyber è uguale a un’offensiva armata”. Secondo il diplomatico, non mancano gli esempi: “Basta pensare alla Crimea, ma comunque in molti scenari bellici il mezzo informatico è usato per degradare le armi avversarie”.

Oggi è stata evidenziata l’urgenza del tema: parlare di cyber, informare i giovani delle nuove capacità informatiche, offrire nuovi lavori e proteggere i dati. Non tutti hanno concordato sull’evitabilità di una “Pearl Harbour digitale”, ma che in materia serva più consapevolezza e che le nostre società debbano essere più resilienti è apparso un punto fermo. Lo slogan, in questo senso, al Centro studi americani, è “No matter what”, a qualunque costo.
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