L’intervista a Alberto Brambilla: “L’idea del governo è corretta perché garantisce flessibilità e i costi non sono troppo alti”

Professore Quota 102 è una sua vecchia proposta, a suo tempo l’aveva definita la soluzione più semplice per superare quota 100. Conferma? «Confermo” risponde il presidente di Itinerari previdenziali Alberto Brambilla, uno dei padri della riforma Dini e poi a lungo sottosegretario al Welfare. Mi spiega perché?
«Perché in questo modo garantiamo un minimo di flessibilità in uscita e al tempo stesso non abbiamo costi troppo elevati. Quando abbiamo scritto la riforma Dini avevamo previsto una finestra tra 57 e 65 anni per uscire dal lavoro. Se guardiamo all’anno prossimo più dell’86% di quelli che andranno in pensione uscirà col sistema misto, in parte retributivo e in parte contributivo, e il contributivo peserà per oltre il 65% dell’assegno. Ricordo che il contributivo rende quello che si è versato e quindi la spesa eventuale per la Repubblica, se lisi lascia uscire con qualche anno di anticipo, riguarda solo l’anticipo di cassa».

Quindi i 600 milioni il governo stanzia per il 2022, magari prevedendo un ampliamento dell’Ape sociale, bastano?
«Sull’Ape sociale, come per i gravosi, tutte le volte che mi viene chiesto un parere io rispondo che esistono i fondi di solidarietà e i fondi esuberi. Non capisco perché le banche, le assicurazioni, le poste e i trasporti li abbiano e invece le altre aziende no; lo dico ovviamente da liberale, se un’impresa deve sostituire il proprio personale perché non è più reimpiegabile, non può scaricarne il peso sullo Stato. Cancellerei le misure sui gravosi e lascerei un po’ di Ape sociale solo per chi versa magari in condizioni particolari”.

Per la Cgil Quota 102 è una presa in giro perché interesserebbe poco persone.
«Non capisco queste stime perché nei prossimi 15 anni abbiamo tutti i baby boomers, tutti i nati dal 1956-57 in poi, che lasceranno il lavoro. Abbiamo fatto i conti e i viventi al 2020 nati tra il 1956 ed il 1974 compongono delle flotte, delle coorti, che valgono tra 850 mila e un milione di persone all’anno. Sono soggetti che hanno carriere importanti e che andranno in pensione con tanti soldi. Bene quindi concedere un po’ di flessibilità, certo non si può eccedere. Siamo il secondo paese per aspettativa di vita: ci continuiamo a strappare le vesti per i giovani e poi se facciamo andare tutti in pensione poi chi lavora?».

L’Ocse ci ripete che per le pensioni spendiamo troppo.
«L’Ocse è male informata. Innanzitutto andrebbe scorporata la spesa per l’assistenza e poi va considerata anche la quota dell’Irpef. Abbiamo appena rifatto i conti e abbiamo appurato che sulle pensioni del 2020 ci sono 56 miliardi di Irpef se togliamo anche questi i conti cambiano molto».

Durigon sostiene che Quota 100 favoriva il ricambio, mentre Quota 102 invece si tradurrebbe in un blocco.
«Quota 100 non ha favorito alcun ricambio. E poi il sistema pensionistico non è fatto per mandare a casa la gente per ricambiare. Noi abbiano bisogno che rimanga al lavoro il più possibile anche gente che ha una certa preparazione».

Quota 104 nel 2024 ha senso?
«Non può funzionare, avremmo lo stesso risultato della riforma Fornero. Si bloccherebbe tutto per 5 anni e non andrebbe in pensione nessuno. Serve uno stacco».

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