Il 40% dei detenuti è tossicodipendente, Co.N.O.S.C.I.: “Dati sottostimati”

ROMA – ‘Secondo le statistiche più recenti, risalenti all’anno scorso, sono entrati in carcere dalla libertà 14.092 tossicodipendenti con un rilevante calo rispetto agli anni precedenti a causa della pandemia. Per la quasi totalità sono di genere maschile (96%) e per un terzo di nazionalità straniera (33%). I detenuti tossicodipendenti entrati nel corso del 2020 rappresentano il 39,9% sul totale degli ingressi, quindi una percentuale sempre molto alta. In ogni caso, in merito alle presenze effettive di ‘consumatori di sostanze stupefacenti’ in carcere è giustificato ritenere che questi dati siano sottostimati’.

A farlo sapere il dottor Sandro Libianchi ,già responsabile medico presso il complesso polipenitenziario di Rebibbia, e presidente dell’associazione Co.N.O.S.C.I. (Coordinamento Nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane), nel corso di un’intervista rilasciata all’agenzia Dire in occasione del primo tavolo tecnico dal titolo ‘Giustizia penale, misure alternative e prestazioni sanitarie penitenziarie nell’ambito della dipendenza da sostanze psicoattive’, che si è svolto ad ottobre presso il Teatro della Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso. L’evento rientra nella VI Conferenza nazionale sulle Dipendenze ‘Oltre le fragilità’, iniziativa coordinata dall’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR (IFC) e voluta dal ministro per le Politiche Giovanili, Fabiana Dadone, che si svolgerà a Genova il prossimo 27 e 28 novembre.

‘Nella mia esperienza, laddove sia possibile una anamnesi attenta e particolareggiata- prosegue il dottor Libianchi- il pregresso consumo di stupefacenti (soprattutto di cocaina) è frequentissimo, anche se non sempre tale da potersi diagnosticare una vera e propria dipendenza’. Al 10 novembre 2021, intanto, nelle 189 carceri italiane per adulti sono presenti 54.307 persone detenute, di cui 2.283 donne e 17.315 stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 50.851 posti.

‘Siamo certamente di fronte ad una ripresa del fenomeno del sovraffollamento- commenta Libianchi- formato da persone che hanno anche posizioni giudiziarie differenti. Basti pensare che ben 16.547 detenuti (il 30,4%) hanno avuto una sentenza non definitiva e di questi 8.758 (il 16,1%) sono addirittura in attesa di primo giudizio, per cui potrebbero essere scarcerati anche domani. Solo 37.440 (il 68,9%) hanno un giudizio definitivo da scontare e possono essere ammessi alle misure alternative, laddove possibile’. Quanto alle misure alternative al carcere, come è noto, sono di diverse tipologie: affidamento al servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà, per un ‘totale, al momento, di 30.585 soggetti coinvolti- fa sapere il presidente di Co.N.O.S.C.I.- ci sono, inoltre le misure di comunità, come la ‘messa alla prova’, per un totale di 27.784 persone. Infine, ci sono altri 13.335 soggetti in carico agli Uffici per l’esecuzione penale esterna del ministero della giustizia (UEPE) con misure diverse’.

Tornando al tema al centro della VI Conferenza nazionale sulle Dipendenze, come si legge sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, l’evento è nato per offrire al Parlamento tutti gli strumenti e le informazioni necessarie per cambiare la vigente legislazione antidroga (art. 1, D.P.R. 309/1990) e adottare il nuovo piano d’azione italiano sulle dipendenze da sostanze. Per raggiungere questo obiettivo sono stati coinvolti, in sette tavoli tecnici, circa 150 esperti ed esperte di settore.

LA CUSTODIA ATTENUATA PER LE PERSONE DETENUTE TOSSICODIPENDENTI

– Ma in cosa consiste esattamente la custodia attenuata per persone detenute tossicodipendenti?

‘È una forma di trattamento penitenziario avanzato in cui, a fronte della già prevista applicazione del regolamento penitenziario, si favoriscono interventi sanitari e specialistici per un migliore recupero della persona. In questo senso- spiega il dottor Libianchi alla Dire- l’attenuazione dell’impatto con il carcere consiste nella riduzione delle caratteristiche strutturali, funzionali e relazionali tipiche della privazione delle libertà personali del carcere. La custodia attenuata può essere realizzata in idonei reparti o sezioni di istituti più grandi (SeATT) oppure in istituti a questa dedicati (ICATT)’.

Tale formulazione trattamentale deriva direttamente dal Testo Unico sugli Stupefacenti (DPR 309/90), che all’art art. 96 cc. 3 e 4 prevede espressamente che la persona detenuta e tossicodipendente ha diritto a ricevere ‘le cure mediche e l’assistenza necessaria all’interno degli istituti carcerari a scopo di riabilitazione’ in ‘reparti carcerari particolarmente attrezzati’. ‘Nel D.P.R. 309/90- spiega il presidente del Coordinamento Nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane- è più volte ribadito che la nuova proposta di un carcere non più inteso solo quale struttura repressiva e di contenimento, ma soprattutto di occasione di trattamento della persona tossicodipendente o alcoolista, deve contemplare un modello peculiare e ripetibile, sia pur nei limiti delle differenze strutturali tra carceri. Una detenzione che utilizzi strutture edilizie più vivibili, pur sempre nel rispetto delle norme di sicurezza, ma che possano rispondere maggiormente ai requisiti della territorialità, assolvere in modo più completo alle esigenze terapeutiche, alla formazione scolastica e professionale, alle attività ricreative, culturali, sportive e artistiche. La bassa capienza rappresenta un altro prerequisito e un’ottima risposta al tipico sovraffollamento delle carceri, che da solo determina un rallentamento o addirittura una precondizione fallimentare verso qualsiasi tentativo terapeutico e riabilitativo’.

I programmi socio-riabilitativi per detenuti alcol-tossicodipendenti, quindi, secondo l’esperto dovrebbero prevedere ‘sia un’organizzazione disciplinata della vita quotidiana, sia attività che comportino un progressivo investimento delle energie in senso proattivo- sottolinea Libianchi- verso percorsi che impediscano la recidiva tossicomanica e giudiziaria. Per l’avvio verso questo tipo di programmi si ritiene irrinunciabile un’azione di filtro dei pazienti che permetta di differenziare i soggetti che possono accedere subito alla custodia attenuata da quelli che necessitano invece di un ulteriore periodo di preparazione al programma o di altri tipi di programma socio-terapeutico. La stessa struttura edilizia degli istituti (o sezioni) sarà tale da rappresentare un valido supporto alle attività socio-riabilitative del tossicodipendente e una confortevole logistica interna dovrà essere prevista per le attività ludiche, terapeutiche di gruppo e singole, lavorative e con la possibilità di disporre di opportuni spazi verdi’.

Trattamentale viene considerata anche la ‘cella’ stessa (o meglio la ‘stanza di pernottamento’), quale spazio personale del detenuto, che dovrà prevedere un ‘migliorato rapporto tra superficie e occupanti’, così come saranno infine valorizzati i momenti di socializzazione ‘come quello del pasto, con una cucina e mensa possibilmente autogestita, e le sale colloquio con i familiari, che contempleranno una sicurezza attenuata’.La custodia attenuata rappresenta quindi la realizzazione dell’ipotesi di una struttura penitenziaria dedicata per persone detenute alcol-tossicodipendenti, dove vi sia un particolare clima trattamentale e la presenza di équipe polispecialistiche strettamente connesse e coordinate nell’ambito delle Unità Operative di Medicina Penitenziaria.

‘L’ammissibilità al programma terapeutico dell’ICATT- prosegue ancora Libianchi- è un prerequisito fondamentale per l’inizio del trattamento e questa richiesta, assieme alla documentazione personale del detenuto (cartella clinica, dati giuridici, relazioni comportamentali, ecc.) sarà valutata per l’ammissione al programma. I detenuti alla prima esperienza carceraria saranno favoriti nella selezione. Soggetti portatori di importanti patologie psichiatriche o fisiche o in trattamento sostitutivo con metadone o farmaci simili, verranno indirizzati verso programmi terapeutici più appropriati al loro stato di salute.

GLI ISTITUTI A CUSTODIA ATTENUATA IN ITALIA

Irrinunciabile sarà anche una opportuna opera di formazione specifica del personale penitenziario nei confronti del progetto. A tale proposito basti pensare al ruolo della direzione, della polizia penitenziaria e del personale giuridico-pedagogico che molto raramente ha avviato processi formativi project-oriented’. Ad oggi in Italia le strutture penitenziarie di trattamento attenuato sono distribuite in tutto il territorio nazionale e presentano caratteristiche differenti a seconda della loro finalità trattamentale. Dall’ultima rilevazione ufficiale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria risalente al 2015, risultano 29 le strutture variamente caratterizzate. Per la custodia attenuata dei detenuti tossicodipendenti, a fronte di una capienza di 635 posti, ne risultano occupati poco più della metà: 340.

Gli istituti a custodia attenuata (o ICATT, carceri di piccole dimensioni interamente dedicati) sono attualmente tre: Eboli, Terza Casa Circondariale di Roma Rebibbia, Giarre. Le Sezioni di custodia attenuata (o SeATT, annesse a grandi carceri) sono cinque: Milano San Vittore, Torino, Genova Marassi, Padova Due Palazzi. Le custodie attenuate per detenuti comuni sono venti: Laureana di B., Paola, Carinola, Civitavecchia CR, Avezzano, Pescara, Larino, Teramo, Biella, Fossano, Torino (2), Genova, Imperia, Altamura, Firenze, Gorgona, S. Gimignano, Siena, Volterra, Orvieto. Gli istituti a Custodia Attenuata per (detenute) madri (o ICAM) sono cinque: Lauro, Milano S. Vittore, Torino, Senorbì (CA). Le Sezioni a custodia attenuata femminili sono 2: Teramo e Torino.

– Dal 2008, intanto, la medicina penitenziaria è stata trasferita nelle competenze delle Regioni. Qual è la situazione oggi?

‘Come abbiamo visto per il progetto della custodia attenuata, anche per l’intero ‘pacchetto’ della medicina penitenziaria l’attenzione del sistema sanitario (Regioni, ASL) è senz’altro diminuita- commenta Libianchi- accanto a mancati incrementi nelle dotazioni organiche, nella messa a disposizione di fondi e soprattutto nell’applicazione di modelli operativi efficaci. Oggi siamo di fronte a modelli operativi differenti e non interoperabili tra Regioni e tra le differenti ASL; ciò va a scapito dell’uguaglianza di trattamento delle persone detenute, che tra un carcere e l’altro possono ricevere tipi di trattamenti anche molto differenti. Da alcuni provengono richieste di aumentare i LEA (Livelli essenziali di assistenza) e di crearne di specifici per i cittadini detenuti, ma questa soluzione appare poco congrua, considerando che il transito delle competenze sanitarie è stato realizzato proprio per ottenere un’uguaglianza tra le due popolazioni. Basterebbe che tutti i LEA previsti fossero applicati realmente’.

Altre soluzioni, secondo il presidente di Co.N.O.S.C.I., potrebbero essere la ‘depenalizzazione di alcuni reati droga-correlati, un maggior ricorso a pene amministrative e non solo carcerarie, insieme alla semplificazione nell’applicazione delle misure alternative per i tossicodipendenti diagnosticati e indirizzati verso le comunità terapeutiche’. Per il progetto della custodia attenuata, infine, è necessaria una ‘dettagliata revisione delle risorse, sia strutturali sia organizzative, unitamente ad una ‘rifondazione’ attualizzata alla normativa attuale. Una volta avviato il progetto- sottolinea Libianchi- sarà soltanto attraverso un rigoroso monitoraggio e ad una valutazione degli esiti di questo trattamento che ci potranno essere resi disponibili i dati necessari per ottimizzare i percorsi organizzativi. Ovviamente viene richiesta una maggiore dedizione al tema e una maggiore ‘leale collaborazione interistituzionale’, che non sempre è stata presente’. Dal 2019 si muove però proprio in questa direzione, presso l’Istituto superiore di Sanità, il ‘primo nucleo di studio e proposta in tema di medicina penitenziaria’, insieme alle tre maggiori università di Roma (Tor Vergata, Cattolica e Sapienza), di Padova e di Napoli (Federico II) e alla nostra associazione’, conclude infine l’esperto.

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