Sit-in rifugiati siriani all’Aia: “Apra inchiesta su crimini del regime”

ROMA – “Io e la mia famiglia non vediamo mio fratello Samir da oltre dieci anni. Venne arrestato durante le manifestazioni popolari del 2011 e per due anni non abbiamo saputo nulla di lui. Poi è stato trasferito, e di tanto in tanto ci confermano che è vivo i detenuti che erano in cella con lui, e che vengono rilasciati, oppure i secondini dietro compenso. Aveva vent’anni quando è stato incarcerato”. Mohammad è un rifugiato siriano e all’agenzia Dire racconta la storia del fratello minore, una vicenda analoga a quella di altre migliaia di siriani detenuti nelle carceri del governo di Damasco. I loro sono nomi di fantasia, una precauzione in più per non mettere in pericolo Samir, incarcerato e mai processato per il reato che le autorità gli contestarono nelle proteste popolari pacifiche del 2011: partecipazione a un’azione volta a destabilizzare la sicurezza dello Stato. Per chiedere la liberazione di Samir e degli altri detenuti, Mohammad ieri ha partecipato a un sit-in organizzato dalla comunità dei siriani in Olanda davanti alla sede del Tribunale della Corte penale internazionale (Cpi). All’Aia, una cinquantina di manifestanti hanno anche esortato la Corte ad aprire un’inchiesta contro il governo del presidente Bashar Al-Assad per crimini di guerra e contro l’umanità: “Sappiamo che la Cpi ha ricevuto molti dossier sui crimini commessi dall’esercito” continua Mohammad. “È ora che anche la comunità internazionale intervenga. Ad oggi, le dimensioni della guerra siriana non sono state ancora comprese”.Al momento, solo un tribunale della città tedesca di Coblenza ha portato a processo due ex funzionari del regime di Damasco per arresti arbitrari, torture e uccisioni compiute a danno dei manifestanti tra il 2011 e il 2012. Eppure nelle sollevazioni popolari contro il governo del presidente Bashar Al-Assad, e poi negli anni del conflitto, moltissimi siriani sono stati incarcerati, e di molti di loro si è persa traccia. Chi è uscito invece ha raccontato di aver subito torture e privazioni.Ancora non esistono stime del fenomeno, a marzo scorso però la Commissione d’inchiesta sulla Siria istituita dalle Nazioni Unite ha diffuso un report in cui ha indicato “decine di migliaia” di persone “detenute illegalmente dal governo e dalle milizie armate”. I ricercatori hanno contato un centinaio di centri di detenzione e hanno raccolto testimonianze in ciu si parla ancora di violazioni, torture e uccisioni.Ne è un esempio il fratello di Mohammad: oltre a non aver mai incontrato un avvocato o affrontato un processo per i suoi presunti crimini, l’uomo vive isolato dal mondo. In dieci anni, “solo una zia è riuscita a incontrarlo dopo aver dato a un agente una somma di denaro”. I familiari di Samir non possono fargli arrivare né lettere né cibo, vestiti, medicine o sapone “neanche durante il Covid” dice il fratello.Il sit-in davanti all’Aja richiama anche un’altra vicenda che coinvolge la Siria: domani si apre ad Istanbul l’89esima Assemblea Generale dell’Interpol, organismo giudiziario che a fine settembre ha riammesso la Siria tra gli Stati membri. Una decisione che ha sollevato numerose critiche da parte di associazioni e giuristi di tutto il mondo in quanto, come scrive il Guardian, “esporrà le persone fuggite dalla guerra alla detenzione e all’estradizione, oltre a complicare le domande di asilo e le cause legali internazionali contro i funzionari siriani”. Ancora al Guardian Toby Cadman, un avvocato britannico che lavora sui procedimenti giudiziari per crimini di guerra relativi alla Siria, ha dichiarato: “Sono profondamente deluso e preoccupato che sia stata presa una decisione del genere. I sistemi dell’Interpol sono opachi, senza una reale supervisione o responsabilità, e consentono a Stati come la Siria – che hanno poco riguardo per i diritti umani – di usarli in modo irregolare”. Nei giorni scorsi ben 64 ong hanno chiesto un’urgente riforma dell’Interpol “affinché il suo sistema rispetti la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.
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