Giudici tributari professionali

Professionisti sempre più aggiornati sulle materie di competenza. È l’obiettivo del “Master tributario di aggiornamento professionale in materia fiscale”, promosso dalla Cassa nazionale di previdenza dei ragionieri guidata da Luigi Pagliuca e organizzato dagli Ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili territoriali. Una serie di panel di approfondimento su una tematica sempre più centrale, soprattutto negli ultimi anni, in ogni dibattito nazionale ed internazionale, a causa della continua evoluzione della disciplina dei tributi e, in particolare, di quella italiana. Abbiamo affrontato alcuni di questi temi con Massimiliano Giorgi, docente di Diritto Tributario presso la Facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma.

Manca ormai pochissimo al 1° luglio, data di introduzione dello scontrino elettronico. Che cosa cambierà?

Cambia innanzitutto che l’Agenzia delle entrate avrà a disposizione i dati in minor tempo e da remoto, ma a fronte di ciò bisogna considerare la presenza di un costo aggiuntivo per i contribuenti e per i professionisti. Il commercialista ormai non deve soltanto aggiornarsi continuamente e studiare le classiche materie della professione, ma deve essere un commercialista digitale, un esperto di software, hardware: e i programmi informatici sono sempre più evoluti. Inutile negarlo, la professione sta cambiando e ci sono tanti costi di aggiornamento: per chi dovrà emettere lo scontrino digitale sono previsti incentivi e un credito di imposta; e per il commercialista invece? Certamente non potrà riversare sui clienti i costi che dovrà sostenere, di conseguenza lo Stato si avvantaggia ma lo fa, ancora una volta, a spese di una categoria.

L’aumento del costo di adempimento del tributo determina infatti un effetto indesiderato anche per i commercialisti, perché il contribuente tende a “condividere” tale costo con il professionista; infatti, il commercialista spesso non riesce a farsi pagare per tutti gli adempimenti che pone in essere.

La spasmodica ricerca di informazioni e le difficoltà di controllo hanno, peraltro, indotto lo Stato ad utilizzare i commercialisti come soggetto “ausiliario” nell’attuazione del prelievo e ha quindi posto a loro carico degli obblighi che non rientrano “stricto sensu” nell’attività professionale; si pensi, ad esempio, ai visti, asseverazioni, controlli, segnalazioni etc.

Il paradosso in questo paese è che, mentre si cerca faticosamente di far scendere il costo del tributo anche rinunciando a delle risorse, dall’altra parte aumenta il costo dell’adempimento del tributo; di conseguenza il saldo non sempre è favorevole, anzi per i commercialisti secondo me è negativo.

Possiamo fare un primo bilancio sulla fatturazione elettronica?

A quanto pare i dati parlano di un consistente aumento del gettito, quindi – se questi dati fossero verificati – certamente si tratterebbe di una misura utile allo Stato, ma anche qui si tratta di capire quanto questa è costata ai cittadini. Se le somme derivanti dal maggior gettito potranno essere impiegate per diminuire il carico fiscale, allora quel saldo sarà positivo per tutti.

Anche in questo caso il problema è di formazione: oltre alle materie classiche che coinvolgono la professione del commercialista, in particolare quella tributaria che richiede un aggiornamento continuo, le competenze che deve avere un professionista ormai stanno di fatto travalicando le materie classiche, arrivando quasi all’ingegneria elettronica. La Cassa Ragionieri e gli ordini professionali stanno facendo uno sforzo enorme sotto il profilo formativo, ma si tratta di uno sforzo che coinvolge non solo chi forma ma anche chi si deve formare: è tutto tempo in più da dedicare alla professione, e la professione praticamente è già a tempo pieno. Quindi, i costi aumentano, i compensi non aumentano di pari passo e c’è anche un ulteriore costo sotto il profilo del tempo impiegato.

Ma come è possibile armonizzare questi strumenti, che puntano al contrasto all’evasione fiscale, con le esigenze di chi lavora sul campo?

Non è facile, soprattutto se si esce dalle grandi città. Non dobbiamo dimenticare la situazione dei collegamenti telematici nel nostro paese: in Italia ci sono interi comuni che fruiscono in maniera ridotta dei miglioramenti tecnologici, penso alle tante località dove non c’è la banda larga.

In questo contesto come si può inserire la proposta di una flat tax, che tanto sta facendo discutere?

La Flat Tax in linea di principio non è “incostituzionale”, come spesso si sente ripetere, poiché l’art. 53, comma secondo, della Costituzione, prevede, infatti, che il sistema tributario è informato a criteri di progressività; non è, quindi, la singola imposta che deve essere progressiva ma è il sistema tributario nel suo insieme che deve essere “informato” a criteri di progressività.

Lei ritiene sia necessaria una riforma della giustizia tributaria? Da dove iniziare?

Bisogna partire dalla figura di un giudice che sia professionale, non un giudice prestato a tempo parziale, che ha tutt’altra esperienza e tutt’altra formazione. Anche nella giustizia tributaria si richiede uno sforzo iniziale e formativo enorme: gli strumenti deflattivi del contenzioso non funzionano più molto e occorre quindi un giudice specializzato. C’è una tale evoluzione sistema che la specializzazione diventa fondamentale, in una professione che richiede tante conoscenze di base che spesso non sono veramente di base, bensì specialistiche: occorre conoscere la contabilità, il diritto civile, quello tributario, l’amministrativo, il comunitario…

Serve una semplificazione, perché se non si semplifica difficilmente si raggiungeranno gli obiettivi.

Non è normale, ad esempio, che oggi esistano tanti sistemi diversi per determinare il reddito di impresa: il principio di uguaglianza richiederebbe che siano trattati in modo non dico uguale ma almeno simile. Oggi invece sono trattati in modo diverso, segno dell’inadeguatezza di un sistema che è diventato sempre più complicato: la disuguaglianza è aumentata anche a causa del proliferare delle imposte sostitutive con cui si si cerca di rendere un po’ più semplice e meno oneroso il sistema tributario.

In tanti altri paesi il piccolo contribuente viene tassato in maniera forfettaria e si punta a diminuire la platea dei contribuenti; in Italia invece con la riforma tributaria del secolo scorso si è ampliata la platea dei contribuenti e tutti, in teoria, sono trattati allo stesso modo. Poi però si è scoperto che il sistema non poteva essere gestito e si è addossato al contribuente un numero sempre maggiore di obblighi tributari.

Il peso è stato scaricato sul contribuente?

L’iniziativa nei sistemi fiscali moderni basati sull’autodeterminazione dei tributi è stata progressivamente attribuita al contribuente in tutte e tre le fasi in cui si articola l’attuazione del prelievo: accertamento, liquidazione e riscossione. Infatti, sulla base di una dichiarazione, il contribuente deve, normalmente determinare la base imponibile, liquidare il tributo e provvedere a versarlo. Al Fisco è, invece, attribuito il potere di controllare l’esatto adempimento degli obblighi che gravano sul contribuente nelle tre fasi di attuazione del prelievo, al fine di realizzare la pronta e perequata attuazione di tale prelievo. Lo spostamento in capo al contribuente delle fasi di attuazione del prelievo ha comportato anche il passaggio da una fiscalità basata su stime e forfettizzazioni ad una fiscalità analitica.

Bisogna semplificare, bisogna diminuire il carico impositivo, il costo di adempimento del tributo e il numero dei contribuenti che vengono tassati su base analitica: allora probabilmente si recupererà quell’efficienza che permetterà al sistema di ricominciare a crescere anche sotto il profilo macroeconomico.

Lo Statuto del contribuente va riformato o più semplicemente applicato?

Lo Statuto andrebbe applicato: la sua introduzione è stata vista come una grande conquista; da subito ci si è posti il problema che la norma non aveva rango costituzionale, però c’era una certa remora a privarla dei suoi effetti. Nelle sue prime applicazioni tutti cercavano di attenersi ai principi in esso espressi. Però sono passati venti anni e ci si è dimenticati dello Statuto, che viene sempre meno applicato. Il problema principale è che non è una norma di rango superiore.

In questo contesto che supporto può arrivare dal master promosso da Cassa Ragionieri e dagli ordini territoriali?

Dal master e da questi incontri può arrivare un contributo fondamentale, perché va a soddisfare le esigenze che abbiamo detto, in primis quella formativa: purtroppo o per fortuna occorre una formazione continua e di conseguenza c’è bisogno di una formazione di qualità come quella fatta dalla Cassa. Il master è anche un momento di riflessione, un laboratorio di idee in cui si elaborano proposte e si danno spunti per riflettere.

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