Pmi innovative, varati gli incentivi è un assist fiscale al venture capital

Non più solo startup. Gli incentivi fiscali dedicati alle piccole e medie imprese innovative sono diventati operativi. Con la pubblicazione in gazzetta ufficiale è stata estesa la possibilità di detrarre il 30% dell’Ires o dell’Irpef dagli investimenti effettuati in Pmi innovative, ovvero imprese con non più di 250 dipendenti e un fatturato inferiore a 50 milioni o un attivo patrimoniale inferiore a 43 milioni. Un incentivo a convogliare capitali privati verso quelle realtà che, pur operando da tempo, manifestino comunque caratteristiche di innovazione di indubbia portata. Di queste agevolazioni si avvarranno prevalentemente i fondi di venture capitai o private equity, fondi cioè che operano proprio per sostenere Idee imprenditoriali particolarmente promettenti, il cosiddetto seedfinancingo, appunto, startup nelle prime fasi di vita, venture financing. Fintech e Insurtech, e-commerce & retail, biotech & medtech: sono i tre ambiti più interessati dagli investimenti in Italia, hottest, come rileva il Ve Italian market overview di Angeldeal, e coprono circa 1’80% delle operazioni realizzate tra il 2016 e il 2019. Un trend che riflette l’andamento di questa tipologia di investimenti all’estero. Soprattutto in Usa, dove il venture capitai è maggiormente sviluppato. I fondi specializzati scommettono sul futuro, ovvero su società che ancora non fatturano oppure su beni o servizi che ancora non vengono venduti. Si tratta di un rischio sia industriale che finanziario: la società o il prodotto su cui si scommette avrà un futuro? L’investito, inoltre, non sa se avrà modo di recuperare il capitale investito. RISCHI ALTI Il rischio è premiato dalle aspettative di un rendimento futuro altrettanto elevato. Rendimento atteso, si chiama così, una proiezione di mercato. Senza venture capitai non esisterebbe Google. E non esisterebbe la maggior parte dei campioni hi-tech della Silicon Valley. Ma a fronte della pattuglia di successo resta dietro la truppa: molte idee o iniziative che, per vari motivi, non ce la fanno. Il venture capitai, insieme al private equity, rappresenta un asset alternativo per molti investitori istituzionali quali fondi pensione e assicurazioni, che devono diversificare i propri portafogli per cercare di conservare il capitale e possibilmente creare anche extrarendimenti a medio e lungo periodo. Non è certo un caso che questo asset abbia preso sempre più piede tra gli istituzionali negli ultimi anni, con i tassi a zero, se non addirittura sottozero, a spese di altre asset class più tradizionali come le obbligazioni. IL BOOM Nel 2018 si è registrato un boom in Europa e Israele, con 28 miliardi di investimenti. Di questi 1’11% deriva dalle 10 principali operazioni, che hanno messo in moto le risorse più elevate. La prima è la tedesca Autoi Group, marketplace di compravendita di auto usate. Segue Letgo, spagnola, piattaforma e app per l’usato in generale. Terza per capitali raccolti è NuCom, altra società tedesca, piattaforma consumer di brand. Per cambiare Paese, tra i primi dieci si posiziona Landa, specializzata in servizi digitali per il packaging e il marketing, poi la banca digitale inglese Revolut, Greensill, altra inglese, con focus su servizi finanziari digitali. Ultima la francese Voodoo, specializzata in intrattenimento per device mobili. Più in generale la parte del leone la fanno Gran Bretagna, Germania, Francia e Israele, che da sole mettono in moto il 68% degli investimenti. L’Italia è fanalino di coda insieme a Finlandia, Danimarca, Belgio, Portogallo e Russia sia in termini di investimenti che di round, ovvero di raccolta fondi. FASE DINAMICA Le cose stanno però cambiando. Spagna, Italia, Belgio e Danimarca, infatti, sono i paesi che hanno fatto registrare un forte incremento nella raccolta fondi. Certo, in percentuale elevato rispetto alla base di partenza, ma è comunque il segnale che il settore sta vivendo una fase dinamica. E grazie alle nuove norme previste dalla legge di Bilancio il 2019 si preannuncia come un anno particolarmente interessante. La tecnologia digitale è il motore della maggior parte delle startup e imprese innovative. Viene spontaneo il confronto con il boom delle dotcom, le imprese Internet, scoppiato tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, quando l’indice Nasdaq aveva raggiunto il massimo. Anche allora era stato il venture capitai a finanziarie la maggior parte di queste imprese innovative poi sbarcate in Borsa. Il boom di Internet aveva dato vita a una grande bolla speculativa, che altrettanto improvvisamente era scoppiata. Come ricorda un prospetto Consob, la bolla si è sviluppata secondo questa sequenza: estrema fiducia da parte degli investitori nelle potenzialità di un prodotto/azienda; crescita rapida del prezzo del prodotto; evento che fa vacillare le aspettative di importanti guadagni; elevati flussi di vendite; crollo finale del prezzo del prodotto. Potrebbe succedere anche adesso con il boom delle imprese digitali? «Il digitale sta rivoluzionando il modo in cui viviamo e lavoriamo. Impatta ogni aspetto dell’economia e della società, anche in Italia, dove abbiamo importanti collaborazioni», parola di Satya Nadella, ceo di Microsoft. Un gruppo nato nel 1975. Da allora sempre in primo piano a livello globale.

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