Condannato a 30 anni, ma dai domiciliari coordinava il clan camorristico Mallardo

NAPOLI – Condannato a trent’anni di carcere, riusciva comunque a gestire il clan sfruttando la possibilità di rientrare in Campania per motivi di salute. È stato individuato e raggiunto da misura cautelare il reggente del clan Mallardo, operante a Giugliano in Campania (Napoli) e nei comuni limitrofi, confederato con i clan Contini e Licciardi nella cosiddetta Alleanza di Secondigliano.

Nell’ambito dell’operazione sono state eseguite dal centro operativo Dia di Napoli 25 misure cautelari (17 in carcere ed otto agli arresti domiciliari) disposte con ordinanza emessa dal gip del tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della procura di Napoli.

Agli indagati sono contestate, a vario titolo, condotte di associazione per delinquere di tipo camorristico e reati che vanno dall’estorsione alla detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, false attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, favoreggiamento personale, fittizia intestazione di beni, impiego di denaro di illecita provenienza, autoriciclaggio, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Delitti, tutti, aggravati dal metodo mafioso. Le indagini condotte sono ritenute, allo stato, utili anche a ricostruire l’organigramma del clan Mallardo.

SCONTAVA LA PENA AI DOMICILIARI PER MOTIVI DI SALUTE

Il principale indagato, già condannato alla pena di trent’anni per omicidio, stava momentaneamente scontando la pena in regime di detenzione domiciliare (motivata da ragioni di salute) in un comune del Piemonte ed era stato autorizzato a recarsi per alcuni giorni al mese a Giugliano per sottoporsi a cure odontoiatriche. Per giustificare la sua assenza in occasione di un controllo dei carabinieri nell’abitazione dove era ristretto in detenzione domiciliare, l’uomo aveva presentato un falso certificato medico scritto da un dentista compiacente che pure è stato arrestato.

ORGANIZZAVA SUMIT CON GLI ALTRI AFFILIATI

Dalle indagini è emerso che il reggente del clan, durante i giorni di permanenza a Giugliano, organizzava summit con gli altri affiliati e gestiva i proventi delle attività illecite che confluivano in una cassa comune da cui gli affiliati attingevano denaro sia per il proprio sostentamento che per quello dei detenuti e delle loro famiglie.

Lo stesso indagato, secondo le emergenze investigative valutate dal gip, è, quindi, divenuto capace di aggregare attorno a sé una serie di affiliati per il tramite dei quali gestiva le attività criminali, in particolare le estorsioni ai cantieri edili, sia nel territorio cittadino di Giugliano che nei territori di Licola, Varcaturo e Lago Patria.

LO AIUTAVANO LA MOGLIE, UNA SORELLA E IL COGNATO

Per la gestione del clan, lo stesso si avvaleva, tra gli altri, anche dei suoi familiari più stretti tra cui la moglie, una delle sorelle e il cognato, arrestati perché raggiunti da gravi indizi di partecipazione all’organizzazione. L’uomo impegnava sia nella risoluzione di conflitti interni, gestendo i rapporti con il gruppo scissionista delle “palazzine” di Giugliano, sia nel consolidare gli storici rapporti del clan Mallardo con i clan napoletani dei Contini e Licciardi che con lo stesso costituiscono l’Alleanza di Secondigliano.Dalle indagini emergevano, inoltre, alcune fittizie intestazioni di beni. In particolare un’agenzia di scommesse, di fatto riferibile al reggente del clan ma formalmente intestata alla nuora e gestita dal figlio, e altri beni fittiziamente intestati a prestanome. Tutti i beni sono stati sottoposti a sequestro preventivo.

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