Tony Abu Akleh: “Mia sorella è morta perché Israele chiude la bocca ai cronisti”

ROMA – “Mia sorella Shireen è stata uccisa perchĂŠ reprimere le voci che testimoniano le violenze vissute dai palestinesi rientra nella politica di Israele. E’ la stessa logica che ha portato alla morte di Raffaele Ciriello. La mia famiglia però, avrebbe voluto vedere una presa di posizione piĂš forte da parte della comunitĂ  internazionale, per spingere Israele a portare davanti alla giustizia gli autori di questo omicidio”. Tony Abu Akleh è il fratello di Shireen Abu Akleh, storica giornalista di Al Jazeera colpita a morte da colpi d’arma da fuoco l’11 maggio scorso mentre con altri sei giornalisti seguiva un’operazione militare delle forze israeliane nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. L’uomo è intervenuto in video collegamento da Gerusalemme nel corso della conferenza stampa ‘Morire per informare’, conferenza stampa organizzata della Rete NoBavaglio – Liberi di essere informati stamani a Roma, nella sede della Federazione nazionale della Stampa italiana (Fnsi).

L’incontro, che lancia anche un appello al premier Draghi che la prossima settimana si recherĂ  in Israele per una visita coi vertici di Tel Aviv, ha voluto far luce sulle violenze che subiscono i giornalisti, palestinesi e non, che lavorano nei Territori palestinesi occupati. Un’occasione per ricordare anche Raffaele Ciriello, il fotoreporter milanese di 42 anni ucciso dai colpi di un blindato dell’esercito israeliano nel 2002. Abu Akleh e Ciriello fanno parte dei 55 reporter uccisi in Palestina dal 2000, come calcolano le associazioni Reporters without borders e il Committee to Protect Journalists. Per le associazioni sono ben 144 invece quelli a cui le autoritĂ  israeliane hanno impedito in vari modi di raccontare ciò che accade nei Territori palestinesi occupati.

A citare queste cifre è Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia, che ha aggiunto: “Ostacolare il lavoro della stampa è parte di quel regime di apartheid che Israele ha messo in piedi contro i palestinesi, e che costituisce un crimine contro l’umanitĂ ”. La responsabile Amnesty considera grave anche la situazione di impunitĂ , dal momento che sulla morte di Abu Akleh le autoritĂ  di Israele hanno deciso che non apriranno un’inchiesta. E’ per questo che il sindacato dei giornalisti palestinesi ha annunciato un’iniziativa legale alla Corte penale internazionale dell’Aja, come ha confermato il segretario generale Nasser Abu Bakr, che ha aggiunto: “documenti, video e testimonianze raccolte dimostrano che la morte di Shireen è stata una’esecuzione da parte dell’esercito israeliano, che chiude sistematicamente la bocca a chi racconta la veritĂ ”.

Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Palestina occupata, ha riferito che “le circostanze in cui è avvenuta l’uccisione di Abu Akleh rappresentano un potenziale crimine di guerra, che richiede una inchiesta indipendente e rigorosa”. Albanese ha denunciato “i 55 anni di occupazione che Israele applica sulla Palestina, causa di violazioni e abusi, nonchĂŠ la negazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Secondo il diritto internazionale- ha proseguito l’esperta- l’occupazione militare di un territorio deve essere temporanea, non deve tradursi nell’acquisizione di territori e deve scongiurare abusi sui civili. Israele invece viola tutto questo” pertanto “serve un’inchiesta anche su questo tema e poi sull’uso eccessivo della forza sui civili. E’ necessario ripristinare il diritto internazionale smantellando l’occupazione e le colonie”.

Abusi e violenze “di cui l’Unione europea continua ad essere complice”, ha affermato Luisa Morgantini, giĂ  vicepresidente del Parlamento europeo, evidenziando che “pochi giorni dopo la morte di Shireen un’altra giovane cronista è stata uccisa ad Hebron e non se ne è parlato. Io ritengo l’Unione europea complice dell’impunitĂ  di Israele: non c’è giustizia”.

L’ambasciatrice di Palestina in Italia Abeer Odeh, dichiarando che Israele non garantisce l’immunitĂ  “nĂŠ per i giornalisti, nĂŠ per i politici o i medici nĂŠ tanto meno per i bambini palestinesi”, ha lanciato un appello a Mario Draghi, che si recherĂ  in Israele la prossima settimana: “Per Israele ogni palestinese è un obiettivo da eliminare. Il premier deve agire affinchĂŠ la questione palestinese rientri nell’agenda politica internazionale per arrivare a una soluzione, ponendo fine a questo sostegno incodizionato all’occupazione palestinese, e riconoscendo il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, con uno Stato di Palestina e Gerusalemme capitale”.

BENALI (NOBAVAGLIO): “IN PALESTINA I GIORNALISTI RISCHIANO LA VITA”

“Lavorare in Palestina per i giornalisti è una corsa a ostacoli. Come sappiamo, qualsiasi spostamento richiede un permesso che viene emesso dalle autoritĂ  israeliane, ed è difficile e raro ottenerlo. Senza, le persone vengono fermate a ogni posto di blocco. E’ difficile anche per i reporter che lavorano per grandi media e che ottengono i permessi perchĂŠ potrebbero ritrovarsi in mezzo a una sparatoria o un blitz delle forze israeliane e vengono scambiati per un civile e subiscono violenze fisiche o verbali. Dal 2000 ad oggi sono 55 i reporter uccisi da pallottole sparare dai soldati israeliani, come riferiscono Reporters sans frontieres e il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj)”. A illustrare questa situazione all’agenzia Dire è Nacera Benali, giornalista algerina della Rete NoBavaglio – Liberi di essere informati, che stamani a Roma ha organizzato la conferenza stampa ‘Morire per informare’.

Per Benali, i cronisti caduti nei Territori palestinesi per fare il loro lavoro “è un fatto spaventoso, ed è esattamente quello che è accaduto a Shireen Abu Akleh”, l’inviata di Al Jazeera uccisa lo scorso 11 maggio nel campo profughi di Jenin dove si trovava con dei colleghi per seguire un’operazione delle forze militari israeliane, protagonista dell’incontro all’Fnsi.

“Come Rete NoBavaglio- ha proseguito Benali- sosteniamo la libertĂ  di espressione nonchĂŠ il diritto dei cittadini ad essere informati, in Italia e all’estero. Per questo chiediamo che l’uccisione della collega Abu Akleh non passi impunita, come avvenuto tante altre volte, perchĂŠ significherebbe dare carta bianca ai militari: qualsiasi soldato potrĂ  sentirsi libero di sparare nella certezza che non subirĂ  nessuna conseguenza per le proprie azioni, e noi non lo vogliamo. Vogliamo invece giustizia per Shireen e la sua famiglia”, ha concluso l’attivista di NoBavaglio che, durante l’incontro, ha citato una frase della collega e amica Shireen Abu Akleh: “Ogni volta che noi giornalisti andiamo a lavorare, sentiamo la morte vicina”.
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