Viaggiando in treno mi è recentemente capitato di assistere ad un interessante confronto fra due viaggiatori, evidentemente avvocati specializzati in diritto contabile degli enti pubblici o comunque a rilevanza pubblica.
Ho preso appunti, affascinato dalla chiarezza di quel dialogo fra persone molto preparate che, forse, stavano predisponendo il testo di un atto processuale o un intervento a qualche convegno, tant’è che leggevano a voce alta, l’uno all’altro, i passaggi salienti del lavoro che stavano creando.
Gli appunti presi mi hanno consentito di andare a ricercare le fonti da essi citate e credo di averle individuate.
La prima citazione ha riguardato l’intervento di Giovanni Coppola, presidente della Corte dei Conti del Piemonte, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2014.
“Redde rationem (dal Vangelo di Luca) – Se fosse ancora previsto il peculato per distrazione probabilmente molti sperperi di pubbliche risorse non si realizzerebbero; verosimilmente amministratori e funzionari ci penserebbero piĂą volte e con piĂą ponderazione prima di impegnare risorse od effettuare pagamenti che non rientrano strictu sensu tra le specifiche finalitĂ dell’Ente pubblico; probabilmente ci sarebbero meno spese inutili, meno sprechi, forse meno consulenze e meno incarichi vari (di studio o altro) a soggetti esterni.”
La seconda citazione era riferita ad un giudizio del 2014 presso una giurisdizione regionale della Corte dei conti, inerente il pagamento con fondi pubblici di spazi di comunicazione fornita da emittenti radiotelevisive locali: la massima giurisprudenziale richiamata è che la destinazione di denaro pubblico a finalitĂ estranee rappresenta esempio di colpa grave degli amministratori, poichĂ© il vincolo pubblicistico di destinazione impone la legittimitĂ della spesa e la sua ragionevole riconducibilitĂ al contesto di inerenza, anche per l’impatto sulla collettivitĂ derivante dalla distrazione provocata.
La terza citazione aveva ad oggetto una sentenza del 2017 di altra giurisdizione regionale, riguardante sia la destinazione di fondi pubblici a pagamenti a titolo di stipendio per funzione non coerente coi fini istituzionali dell’ente pagatore e in misura non correlata all’attivitĂ svolta, sia la nomina di amministratori in enti partecipati dall’ente pubblico non per accertata professionalitĂ di questi bensì al fine di instaurare un rapporto legato a finalitĂ personali o di interesse di un ristretto nucleo di soggetti. In tale casistica emergeva il danno all’immagine dell’ente pagatore, concretizzato nel fatto che un soggetto, nel porre in essere un comportamento criminoso, ha inteso sfruttare la posizione ricoperta per il perseguimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, così minando la fiducia dei cittadini nella correttezza dell’azione amministrativa, con ricadute negative nell’organizzazione amministrativa e nella gestione dei servizi in favore della collettivitĂ .
Durante l’estate ho avuto modo di leggere alcuni bei passaggi dei “Ricordi” di Francesco Guicciardini: quel confronto fra due avvocati mi ha colpito e mi ha spinto a redigere questo piccolo scritto poichĂ© vi ho ritrovato – immensamente attuale – un concetto dello storico fiorentino che può assurgere a severo monito per tutti gli amministratori di enti a rilevanza pubblica: “l’ambizione non è dannabile, nĂ© è vituperabile l’ambizioso che ha appetito d’aver gloria co’mezzi onesti e onorevoli, anzi sono questi tali che operano cose eccelse; chi manca di questo desiderio è spirito inclinato piĂą all’ozio che alle faccende, vittima d’ambizione perniciosa che ha per fine unicamente la grandezza, come hanno communemente i prìncipi; e quali quando la propongono per idolo, per conseguire ciò che gli conduce a quella, abbattono coscienza, onore, umanitĂ e ogni altra cosa”.
Durante il cammino intrapreso per provare a raggiungere il bene della collettività è bene non ambire a spostare ancor più avanti la linea del traguardo se il miglioramento che potrebbe derivarne è legato a pratiche opache o addirittura illegali.