Per le Casse non è ancora finita

Non è ancora finita. La regolamentazione degli investimenti delle Casse di previdenza può vedere la luce entro la fine della legislatura, nonostante i ritardi accumulati. «Ma solo se risolve il rapporto tra la vocazione pubblica e la condizione privatistica delle casse stesse. Altrimenti rischia di essere un appesantimento». A dirlo il sottosegretario all’economia, Pier Paolo Baretta, intervenuto in occasione del Forum dei commercialisti a Milano.

Problema particolarmente sentito dalle Casse è quello della loro autonomia, spesso e volentieri, è l’accusa che vi viene mossa, violata dal governo. Due le vicende recenti portate a esempio, la rottamazione delle cartelle contributive e quella del cumulo previdenziale.

Sinceramente non mi pare che siamo in una situazione di violenza così esplicita… C’è un dibattito, c’è una dialettica sui ruoli. Le Casse gestiscono le pensioni come primo pilastro per loro aderenti quindi c’è una forte responsabilità e quindi sono necessari i controlli pubblici. Però contemporaneamente hanno una vocazione privatistica. Penso alle gestione degli investimenti, penso a un’autonomia di bilancio. Bisogna trovare, e su questo il governo è d’accordo, un punto di equilibrio tra queste due esigenze, natura privatistica e responsabilità pubblica.

E come la risolvete?

Penso che si arriverà, anche rapidamente mi auguro, a una soluzione condivisa.

Che fine ha fatto il decreto che doveva regolamentare gli investimenti delle Casse?

Non faccio fatica ad ammettere che c’è un ritardo anche eccessivo e che stiamo sollecitando perché esca dai cassetti per farlo diventare, prima della fine della legislatura, uno strumento operativo. Il ministero dell’economia è impegnato in tal senso. Però questo decreto è utile se risolve il punto da cui siamo partiti, cioè il rapporto istituzionale tra la vocazione pubblica delle Casse e loro condizione privatistica. Se non risolve questo rischia di essere solo un appesantimento.

L’Agenzia delle entrate, in risposta a un interpello di Inarcassa, la Cassa di ingegneri e architetti, ha chiarito che la detassazione dei redditi derivanti dagli investimenti nell’economia reale vale solo per le operazioni finanziarie effettuate a partire da quest’anno. Una limitazione non da poco per gli enti che già dagli scorsi anni hanno iniziato a credere nel sistema paese.

Ma non è una limitazione. Nessuna legge è retroattiva. Da un certo giorno in avanti gli investimenti sono a tasso zero per il 5% di quegli investimenti. Semmai il problema è quello di porsi l’esigenza di ampliare questo 5% anche per rispondere alla domanda che oggi fanno gli investitori dei Fondi e delle Casse che è quella di avere ulteriori opportunità.

Misure per favorire gli investimenti sono state più volte da lei annunciate, o attraverso la legge di bilancio o con altro veicolo normativo. Nella prima non ci sono disposizioni in tal senso.

Vediamo anche gli emendamenti parlamentari che ci saranno alla legge di Bilancio. Io mi aspetto che al senato innanzitutto ci saranno degli interventi in questa direzione. Per esempio c’è un vulnus sul quale noi abbiamo una responsabilità che dobbiamo risolvere, che è quello che per un errore nella Manovra di primavera abbiamo tolto dal rischio del bail-in i Fondi pensione e non abbiamo tolto le Casse. Questo è un errore che va riparato e io penso che va fatto all’interno del perimetro della legge di Bilancio.

I bilanci delle Casse di previdenza saranno in grado di reggere la crisi economica e la crisi demografica che hanno colpito molte professioni, e tra queste anche commercialisti e ragionieri?

Bisogna riconoscerlo, la gestione delle Casse e anche dei Fondi in linea generale è una gestione molto oculata. Ma esiste sicuramente un problema di lungo periodo che è legato non tanto alla capacità di gestione, quanto alla trasformazione del mercato del lavoro. Mi chiedo per esempio, parlo dei Fondi, se continua ad aver senso che ci siano così tanti fondi pensione, parlo di quelli complementari o se non bisogna pensare a forme di aggregazione.

Vale anche per le Casse?

Io so che ciascuna professione ha una forte identità che va compresa e rispettata, ma dal punto di vista della capacità di tenuta di un sistema economico forse bisognerebbe porsi il problema da un lato di come stanno evolvendo le professioni e dall’altro se raggruppare in condizioni di sostegno maggiore può aiutare anche questa sostenibilità di lungo periodo.

Cosa succederebbe ai pensionati e ai pensionandi nell’ipotesi di default di una Cassa di previdenza?

Non facciamo questa ipotesi! Nel senso che abbiamo appena detto che le Casse sono in grado di reggere… Nei casi più difficili che abbiamo dovuto affrontare in passato i lavoratori sono stati salvaguardati perché sono passati al sistema pubblico, sono passati all’Inps. Ma credo che questa sia una prospettiva che non solo non vogliamo noi ma non vogliono nemmeno gli amministratori delle Casse.

Vi chiedono da più parti, anche dal Pd, di rivedere l’innalzamento automatico a 67 anni dell’età del pensionamento.

I tendenziali sono molto precisi, l’automatismo della crescita dell’uscita dal lavoro sulla base dell’attesa di vita comporta un trend di risparmi senza i quali avremmo un appesantimento molto rilevante del debito pubblico. Non c’è dubbio però che il problema ha un forte fondamento sociale. Bisogna allora distinguere tra lavori e lavori, bisogna distinguere tra condizioni e condizioni. Quindi io penso che il tema non sia tanto bloccare l’automatismo, quanto trovare delle soluzioni miste a seconda delle esigenze.

La Corte costituzionale ha sancito la legittimità del bonus Poletti che ha restituito ai pensionati una quota della perequazione automatica. E lo ha fatto affermando che la norma impugnata «realizza un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica».

R. Penso che le sentenze della Corte vanno rispettate. Anche quando comportano una rivisitazione dei bilanci pubblici.

La sentenza si può leggere anche nel senso che i diritti dei pensionati non possono essere sempre garantiti dai più giovani. E d’accordo?

E’ molto interessante e complesso il tema culturale e politico che sta alla base della riflessione sull’equilibrio tra i diritti. Abbiamo un’attesa di vita media tra le più alte, andiamo verso la quarta età. E chiaro che questa fascia sempre più importante ha alle spalle tutta l’attività che ha consentito al paese di crescere e a loro stessi di arrivare a questo risultato. Quindi hanno dei diritti che vanno rispettati. Al tempo stesso c’è una nuova generazione che si affaccia e che bussa legittimamente in una condizione di mercato del lavoro che sappiamo essere molto molto complessa. Il bilanciamento non è facile.

Che strumenti mettete in campo per riuscirci?

Noi lo stiamo risolvendo tenendo conto di questo trend di aumento della vita e favorendo tutte le forme di flessibilità in uscita, penso all’Ape sociale, penso all’Ape volontaria. Nella legge di Bilancio diamo forte priorità anche all’occupazione giovanile attraverso sgravi fiscali notevoli.

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