“Mi hanno puntato un kalashnikov addosso”. Storie dei Testimoni di Geova in fuga dalla Russia

di Laura Monti e Silvia Mari

ROMA – “Hanno iniziato a portar via i bambini dalla scuola. I genitori dicevano che siamo estremisti e non potevamo più lavorare con i loro figli. Prima della sentenza del 2017 non ricordo episodi così. Dopo averci pensato un anno, anche per non vivere più nella paura io e mio marito siamo andati via. La mia famiglia è ancora lì e ora mio fratello rischia anche di dover andare in guerra, cosa che per motivi di fede ci rifiutiamo di fare”. Ana (nome di fantasia), è una giovane ragazza russa di 30 anni, è Testimone di Geova e insieme a suo marito, ballerino di danza moderna e anche lui della stessa fede, e ai suoi suoceri, come ha raccontato alla Dire, ha dovuto lasciare tutta la sua vita, famiglia e amici nella piccola cittadina vicino al mar Nero dove è cresciuta. Ha lasciato anche la storica scuola di danza, che dopo 25 anni dalla sua apertura è stata data in gestione.

La situazione è precipitata nel 2017 quando la Corte suprema russa ha sciolto tutte le associazioni dei Testimoni di Geova presenti nel Paese con l’accusa di estremismo, vietando di fatto di professare la religione nel Paese. La messa al bando è stata decisa in seguito a una esplicita richiesta del ministero di Giustizia e la Congregazione è stata inserita in una lista di gruppi di estremisti con lo Stato Islamico e Al Qaeda. Da allora la vita di oltre 300.000 cittadini russi è stata sconvolta, divisa tra un “prima” e un “dopo” privo di libertà, con il timore di essere arrestati e separati dalla famiglia solo a motivo della loro fede. Al 15 settembre scorso si registrano 1.800 perquisizioni, 600 persone messe sotto processo e più di 200 condanne fino a 7 anni di carcere. Molti fedeli hanno deciso di fuggire per cercare protezione come rifugiati anche in Italia.

LE TESTIMONIANZE – Ana racconta di “controlli forti” e di un clima di paura che rendeva impossibile andare avanti con la vita. Lo stesso clima hanno raccontato Igor e Viky (nomi di fantasia), sposati da diversi anni che hanno lasciato la Russia e oggi vivono a Como. “Nel periodo della Pasqua stavo invitando una donna ad assistere a una nostra cerimonia- ha ricordato Viky- ma un poliziotto mi ha portato alla stazione di polizia. Sono dovuta andare per forza, ma non sono entrata per timore. Se vai dentro nessuno sa cosa succede. Mi ha puntato un kalashnikov addosso. Mio marito che lavorava al sito jw-russia.org, dove vengono pubblicati tutti i casi di persecuzione, subiti dai fedeli in Russia, già sapeva di fratelli perseguitati. Così per trovare protezione abbiamo fatto domanda di asilo politico in Italia. Un nostro amico è a processo perché Testimone di Geova”.

LA CHIAMATA ALLE ARMI DI PUTIN – Ora con la chiamata alle armi di Putin si aprono scenari ancor più difficili per i Testimoni di Geova, ma non solo. Viky, alla quale manca tanto il suo Paese, non ha problemi a riconoscere: “Nella nostra nazione abbiamo paura di parlare, non abbiamo libertà di pensiero. Non possiamo dire quello che vogliamo. I nostri artisti, registi soffrono di non poter avere libertà, il governo è ormai diventato totalitario, tu non puoi dire o fare niente se non è gradito al governo”.“Sono testimone di Geova dal 2003 e in Russia mi occupavo della traduzione di pubblicazioni bibliche. Prima lavoravamo alle traduzioni in un ufficio ma dopo la messa al bando delle nostre pubblicazioni nel 2017 siamo stati costretti a lavorare in incognito”, ha raccontato alla Dire Teodor (nome di fantasia), che dal 2018 vive in Italia. “Nel 2016 ho iniziato a notare le cose più strane: andando al lavoro all’improvviso si poteva fermare davanti a me una macchina, con due persone dell’FSB (Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa) che uscivano e ti chiedevano i documenti”, ha raccontato.

I CONTROLLI SOTTO CASA – Dopo la messa al bando del 2017, invece, i controlli si sono spostati direttamente sotto casa: “C’era una macchina sotto casa mia ogni giorno, stava lì dalle 8 fino alle 17, tutti i giorni”. Poi l’informazione ricevuta direttamente da una persona che lavorava nel servizio di sicurezza: “Mi ha detto che aveva visto inseriti i miei dati anagrafici nei loro elenchi. A quel punto ho dovuto scegliere se continuare o lasciare tutto. Me ne sono andato da solo- ha detto Teodor- e dopo un breve periodo in Germania sono venuto in Italia”. Ora Teodor lavora come mediatore culturale, ma è ancora in contatto con altri testimoni di Geova rimasti in Russia: “L’essere umano si abitua a tutto ma i nostri fratelli in Russia sono stanchi, emotivamente provati- ha raccontato- Ogni rumore che senti ti vengono i brividi, vivono aspettando che arrivi qualcuno ad arrestarli”. E, dopo le vicende della guerra in Ucraina, la situazione non è migliorata, anzi: “Temo che ora saranno ancora più fermi e sicuri di sé al governo. Non importa più che cosa pensa la comunità mondiale”.La stessa cosa è accaduta a Sarah e George (nomi di fantasia): “Siamo andati via dalla Russia nel 2017, il 13 novembre. Abbiamo preso la decisione definitiva dopo che delle persone del Servizio Speciale russo sono venute a casa nostra a farci un interrogatorio. Sono rimasta per tre ore da sola con due uomini che mi provocavano per farmi dire cose contro il nostro governo, urlavano”.Sarah lavorava in un albergo ed è stato proprio il suo datore di lavoro a suggerirle di andare via: “Era un ex poliziotto e ci ha detto che per noi la mossa migliore era scappare”. Con gli altri amici e parenti rimasti in Russia, ha detto “non abbiamo contatti, perché abbiamo paura che l’FSB possa ascoltare quello che diciamo e metterli in pericolo”.

LA RUSSIA GIA’ CONDANNATA – Lo scorso 7 settembre è diventata definitiva la sentenza con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato la Russia per la persecuzione contro i Testimoni di Geova. La Russia però ha dichiarato di non riconoscere più le sentenze della Corte Europea da quando, l’11 giugno scorso, è unilateralmente uscita dal Consiglio di Europa, ma tecnicamente la Corte Europea può far valere le sue sentenze emesse contro la Russia per violazioni avvenute fino al 16 settembre scorso. Il futuro stabilirà chi ha il potere di esigere dalla Russia il rispetto delle norme internazionali.
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