Meloni cita 16 volte la libertà, lo studioso: “Concetto chiave dei conservatori, altra cosa sono i diritti”

ROMA – Il termine libertà ricorre 16 volte nel discorso pronunciato ieri dal premier Giorgia Meloni e depositato poi al Senato, chiamato oggi a votare la fiducia. “La parola libertà però può voler dire molte cose- spiega alla Dire Daniele Francesconi, direttore del festival della Filosofia- Nei due anni di Covid si sono ispirati alla libertà proprio i no vax e i no green pass, con forme molto aggressive di opposizione alla protezione delle libertà comuni. Elogiare la libertà non basta, ci sono tante declinazioni possibili di culture politiche fondate sull’idea di liberta: individualistica, di mercato, liberale, libertà per le imprese, oppure su una visione delle libertà più comuni. Bene, dunque, l’appello ai principi di libertà e all’essere liberi fatto dal premier, ma un conto è essere persone libere, un altro è prestare attenzione ai diritti di libertà promuovendo istituzioni comuni che garantiscano e tutelino i diritti individuali di libertà che, nelle società come la nostra, sono diritti civili che hanno a che fare con le sfere anche più intime dell’esistenza”.La libertà, inoltre, è un concetto chiave della politica conservatrice. “Se ci rifacciamo alle grandi divisioni sappiamo che la cultura politica conservatrice è una cultura del liberalismo, mentre quella progressista aggiunge alla libertà l’enfasi dell’uguaglianza. Non ci aspettavamo certo che il premier potesse parlare contro la libertà- conferma lo studioso- ma esiste in Europa un’ideologia che celebra le democrazie illiberali in Ungheria, in Polonia e in tutti quei regimi che sono democratici nelle procedure ma dichiaratamente illiberali su tanti livelli fondamentali”.Sul futuro politico del paese Francesconi si dice ottimista solo a una condizione: “Sarebbe positivo per la stabilità del sistema politico se in Italia si costituisse un partito conservatore, liberale, di massa, di destra o di centrodestra, che abbia risolto veramente, e non solo a parole, i conti con il suo passato”. Lo studioso si riferisce ad alcune “anomalie che hanno caratterizzato gli schieramenti di destra nel nostro Paese: la questione della memoria storica, la provenienza dal fascismo, l’anomalia Berlusconi con l’intreccio tra conflitto di interessi, tutela degli affari privati e la leadership politica. Una dinamica che si è poi riproposta in tanti altri paesi. Se nel corso del tempo si consolidasse un partito conservatore moderno, con le carte in regola per fare il suo mestiere, si potrebbe arrivare a un sistema politico in cui si confrontino in modo leale schieramenti contrapposti. Questo processo potrebbe aiutare a costituire meglio l’altro polo, quello progressista- conclude- perché la destra e la sinistra non sono morte, ma c’è molta strada da fare”.

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