Le ong: non rinnovare il Memorandum d’intesa Italia-Libia, fa dell’abuso una strategia

Il Memorandum d’intesa Italia-Libia non deve essere rinnovato perchè “foriero di un numero infinito di violazioni dei diritti umani” e perchè “cornice strategica che permettere all’Italia di esternalizzare la gestione dei confini, facendo praticare ad altri respingimenti diretti di migranti, per nostro conto ma non in nostro nome”. A denunciarlo è Matteo De Bellis, ricercatore della ong Amnesty International, nel corso di una conferenza organizzata oggi a Roma per chiedere al governo di non permettere che l’intesa fra Roma e Tripoli, siglata nel 2017 e prorogata per altri tre anni nel 2020, si rinnovi in automatico a partire da febbraio 2023. Uno scenario, quest’ultimo, che si verificherĂ  qualora l’esecutivo non intervenisse sul memorandum entro il 2 novembre.

L’incontro, che si è tenuto al’Hotel Nazionale, sulla piazza di Montecitorio, rientra nel contesto di una giornata di protesta contro gli accordi convocata da 40 ong che prevede anche una manifestazione a piazza Esquilino.

AMNESTY: STRATEGIA PER ARGINARE SENTENZA HIRSI DELLA CEDU

De Bellis ricostruisce la storia che ha portato alla firma del memorandum è afferma che l’intesa “è stata promossa per poter cooperare con la Libia arginando la sentenza Hirsi della Corte europea dei diritti umani (Cedu)” che nel 2012 aveva condannato Roma per il respingimento di 24 migranti verso il Paese nordafricano, “delegando alle autoritĂ  libiche questa pratica illegale”. Secondo le organizzazioni promotrici dell’iniziativa di oggi, dal 2017 a oggi quasi 100mila persone sono state intercettate in mare e riportate forzatamente in Libia.

Fra i nodi piĂą critici dell’intesa c’è anche il sostengo alla cosiddetta guardia costiera libica, “un gruppo di cui ignoriamo la composizione”, sottolinea Valentina Brinis di Open Arms, una ong che dal 2015 effettua operazione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. “In alto mare abbiamo assistito a scene da ‘far west’ che coinvolgono questa organizzazione”, denuncia Brinis. “Il punto è che il salvataggio è completo quando le persone recuperate dal mare vengono portate in luoghi sicuri, e sappiamo bene che la Libia non può essere definito tale: non è neanche necessario citare tutte le violazioni che vi avvengono- prosegue l’attivista- basta menzionare il fatto che nel Paese non è possibile contattare autoritĂ  del proprio Paese di provenienza, fare domanda di asilo o accedere ai servizi essenziali”.

SALVATAGGI IN MARE RESI PIĂ™ DIFFICILI

Il memorandum ha comunque reso piĂą complesso anche le operazioni in mare, come sottolinea Chiara Denaro di Open arms, una rete di 300 attivisti che operano sulle due sponde del Mediterraneo e che si gestiscono una linea telefonica di sostengo ai migranti in mare tramite la sollecitazione di operazioni di soccorso o il monitoraggio di eventuali violazioni.

“A partire dal 2017 anche la Guardia costiera italiana, con cui il rapporto era molto buono, ha iniziato a dirci di contattare i presunti omologhi libici, nonostante la sentenza della Cedu”, ricorda l’attivista. “C’è un gap fra quanto stabilito dalla legge internazionale e fra quanto avviene grazie ad accordi come quelli con la Libia, e a volte per sopperire a questo divario è necessario anche compiere atti di disobbedienza civile, come rifiutarsi di consegnare i migranti alla guardia costiera libica”.

Atti che non influiscono sul contributo fornito dalle ong, che resta fondamentale, come sottolinea Filippo Miraglia, responsabile nazionale Immigrazione dell’Arci e presidente di Arci Culture Solidali – Arcs. “Le organizzazioni della societĂ  civile fanno quello che dovrebbero fare gli Stati mentre questi ultimi compiono atti illegittimi”, denuncia il dirigente. “La vita umana è sempre la prima cosa, ma pare che gli Stati se lo siano dimenticati”.

RICCI (CIES): FERMARE IL MEMORANDUM, CE LO CHIEDONO LE VITTIME

Opporsi al Memorandum d’intesa Italia-Libia partendo dalle testimonianze di chi c’è passato, “nei centri di detenzione ma anche al di fuori”, che con le violenze e gli abusi subiti costantemente rende evidente che “non si può fare finta di niente e credere che la Libia sia un Paese sicuro”. E’ la posizione di Annunziata Ricci, direttrice della ong Centro informazione ed educazione allo sviluppo (Cies), intervistata dall’agenzia Dire a margine di una conferenza organizzata da 40 organizzazioni della società civile per chiedere al governo di non rinnovare l’intesa siglata da Roma e Tripoli nel 2017, che verrà prorogata in automatico dal febbraio 2023 qualora l’esecutivo non intervenisse a riguardo entro il 2 novembre.

Ricci evidenzia che il Cies, nato nella capitale nel 1983, “lavora per promuovere l’integrazione e l’inclusione dei migranti nella società italiana”, declinando questi concetti in vari contesti e attività. Fra questi c’è anche “la mediazione interculturale, in ospedali, scuole, al momento degli sbarchi”. E proprio lavorando in questi ambiti, spiega la direttrice, che “abbiamo avuto modo di conoscere le testimonianze di persone passate dalla Libia e di ascoltare gli abusi e le torture subite in modo sistematico”.

Da qui un’opposizione agli accordi, da collocare però in una visione della migrazione di più ampio respiro. “Lavoriamo per l’integrazione con bambini, giovani e adolescenti- afferma Ricci- e lo facciamo in spazi come Il centro giovani e scuola d’arte Matemù, a Roma, dove italiani e stranieri, contro ogni logica di ghetto, partecipano a tante iniziative insieme: dai laboratori artistici al sostegno scolastico fino al supporto psicologico e alla formazione e l’orientamento professionale e al lavoro”.

MICCIO (EMERGENCY): SULL’AFRICA COME PRIORITĂ€ SERVONO I FATTI

“Sono 20 anni che ci sentiamo dire che l’Africa è una prioritĂ  ma poi vediamo, a esempio, che le risorse di iniziative come il Fondo per l’Africa vengono deviate su misure securitarie invece di essere impiegate per finanziare la costruzione di sviluppo. Vediamo adesso che significato verrĂ  dato a questa prioritĂ ”. Così all’agenzia Dire la presidente di Emergency, Rossella Miccio, sollecitata a margine dell’incontro all’Hotel Nazionale sulle parole pronunciate oggi dal ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani, che ha definito l’Africa una “prioritĂ ” per la politica italiana.

Emergency, che la settimana scorsa ha presentato una nuova nave per Search and rescue pronta a salpare per il Mediterraneo centrale e che è stata presente in Libia per anni, “è contraria a questo memorandum perchè è da sempre impegnata nella difesa dei diritti umani e perchè l’intesa è uno strumento per negare questi ultimi alle persone intrappolate in Libia”, sottolinea Miccio.

Il memorandum, continua la presidente, “crea una corresponsabilitĂ  del governo italiano e dell’Unione Europea, che in parte finanzia l’intesa, negli abusi commessi dalla guardia costiera libica e dalle istituzioni non democratiche di Tripoli, sostenute economicamente nel contesto di questo accordo”. Parte dei fondi vengono anche dal Fondo per l’Africa italiano e dal Fondo fiduciario per l’Africa erogato dall’Ue, che invece, prosegue Miccio, “dovrebbero essere focalizzati su progetti di sviluppo”.

PrioritĂ  da ridefinire quindi, non solo in Libia. “Speriamo che la politica comprenda che la guerra è un crimine di per sè e che inizi a investire piĂą sulla cooperazione internazionale che sull’aumento della spesa militare”, continua Miccio, guardando al nuovo governo appena entrato in carica. “La cooperazione”, conclude la presidente, “può essere uno strumento per combattere il gap di risorse fra nord e sud che spinge tanti a intraprendere viaggi della speranza verso l’Europa”.
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