Anteprima film su Pasolini a Bologna, “delitto politico anche senza mandanti”

BOLOGNA – Da una parte un uomo 53enne massacrato, sfigurato, sporco di tracce di pneumatici e segnato in più parti del corpo, dentro e fuori, da colpi in grado di procurargli un’emorragia cerebrale, diverse ferite parietali sul lato sinistro, una ai testicoli e altre lesioni che zampillano. Dall’altra parte, un ragazzo di 17 anni praticamente illeso, che non si fece nulla e che la Medicina legale escluse presto come unico autore del delitto. Tuttavia, dopo che i primi testimoni sul posto non vennero verbalizzati, una sentenza di secondo grado ne affossò una di primo in base a un ‘meccanismo’ senza precedenti, o quasi, nella storia della giustizia italiana. È il cuore della vicenda di Pier Paolo Pasolini, della sua morte atroce consumata tra il primo e il 2 novembre del 1975 a fianco delle baracche dell’idroscalo di Ostia, che fa pulsare di nuovo “Pasolini, cronologia di un delitto politico”, il film di Paolo Fiore Angelini (Verdiana con Oblivion Production) presentato il 21 ottobre alla Festa del Cinema di Roma e oggi, in anteprima per la stampa, alla Cineteca di Bologna. “È il film che mancava su Pasolini perché racconta in maniera scientifica, sulla base di studi, ricerche, documenti e prove processuali incontrovertibili, che e come Pasolini è stato ammazzato. Lo fa con precisione e con l’abilità, rara, di trasformare uno studio storico in un film”, spiega in sala Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca bolognese. E così si scopre che il clima di quegli era così ostile al poeta al punto che non ‘servivano’ mandanti per ucciderlo. Il film è liberamente ispirato al libro del 2019 “Pasolini. Un omicidio politico – Viaggio tra l’Apocalisse di Piazza Fontana e la notte del 2 novembre 1975”, scritto da Andrea Speranzoni e Paolo Bolognesi, che nelle loro vesti di legale di parte civile e presidente dell’associazione dei parenti delle vittime della strage del 2 agosto 1980 in questi anni hanno sviscerato ‘la storia nera’ d’Italia.

DIVERSI TESTIMONI DI ALLORA NON HANNO ACCETTATO DI PARLARE

Nel documentario non si vedono immagini inedite (ma comunque ogni casella è stata rimessa al suo posto) e diversi dei testimoni di allora non hanno accettato di parlare, oggi, ma non mancano contributi inaspettati a partire da quello di Antonio Cornacchia, generale dei Carabinieri nato nel 1931 che nella sua carriera si è occupato anche del caso Moro, del delitto del Circeo, della banda della Magliana, dell’omicidio Pecorelli, venendo poi assegnato al servizio segreto militare Sismi dopo alcune minacce di morte ricevute. Di fronte alle tante contraddizioni ‘alte e basse’ che emersero fin da subito sul delitto di Ostia, a partire da quell’asse di legno, un pezzo di una baracca, che da solo non avrebbe potuto ridurre in quel modo il corpo del poeta, nel film di Angelini Cornacchia svela su quei tempi, dopo che cominciarono a uscire articoli dei giornalisti che fin dalle primissime ore più si occuparono del caso, da Oriana Fallaci a Furio Colombo: “Ogni settimana, alle 21, dovevo andare al ministero degli Interni- racconta l’ex generale- a parlare con Francesco Cossiga (titolare del Viminale da febbraio 1976 a maggio 1978, ndr). Gli dissi un giorno ‘signor ministro, la Fallaci è convinta che siano stati gli amici politici’. Lui mi rispose: ‘Sì ho letto anch’io l’articolo sull’Europeo. Mah, sarà’, si limitò a dirmi…”, ricorda Cornacchia. Sta di fatto che la mattina del 2 novembre ’75 l’indagine era già conclusa, con la dichiarazione della ‘rana’ Pelosi come pietra tombale sulla verità. “Ci siamo dovuti fermare al giovane- continua l’ex generale- ma il referto che ci arrivò dalla Medicina legale aveva escluso che quel ragazzo, da solo, avrebbe potuto compiere quel massacro”. Anche il ‘famoso’ anello di Pelosi, che venne trovato vicino al corpo di Pasolini, si è rivelata poi una prova artefatta da altre mani e menti.

“I TESTIMONI NON AVREBBERO CONFERMATO IN AULA”

Ma è possibile che nessuno dei residenti, viste le tante baracche a pochi metri, avesse sentito nulla quella notte? Quando Colombo dice ai residenti “andate dai pm”, loro rispondono netti “mai e poi mai, ci cacciano via, siamo abusivi”. Ma il punto è perché la magistratura non fosse andata di propria iniziativa a sentire quelle persone, è il ritornello che risuona nel lavoro di Angelini mentre fa passare in rassegna tanti altri esperti del caso, come Carla Benedetti, Vincenzo Calia, Guido Calvi, Roberto Chiesi, Aldo Colonna, Antonio Cornacchia, Goffredo Fofi, Giovanni Giovannetti, Franco Grattarola, David Grieco, Sergio Leoni, Stefano Maccioni, Dacia Maraini, Silvio Parrello, Claudia Pinelli, Guido Salvini, Angelo Ventrone, Simona Zecchi. E se anche un’altra intervista di Colombo apparse subito illuminante, quella al ‘pescatore’ Ennio Salvetti che dichiarò “so chi è Pasolini, vivo qui e sono pratico della vita qui dentro, mi creda, loro erano in tanti”, proprio su quei “tanti” che rimasero e sono rimasti impuniti ci sarebbe tanto da raccontare. A partire, appunto, dalle mancate verbalizzazioni dei primi testimoni prima dell’alba. Ecco la versione di Cornacchia esposta nel film: “Nessuno è stato preso a verbale perché non avevamo alcun elemento tale per far sì che questi diventassero realmente testimoni e confermassero tutto davanti a un magistrato. ‘Qua è un via-vai, alla sera ci sono prostitute’, ci risposero. Elementi in grado di poter essere alla base della nostra indagine non ce c’erano, per questo non abbiamo preso alcun appunto. Ci siamo dovuti basare quindi sulle dichiarazioni del ragazzo”. Quel “ragazzo” che poi, nel 1994, spiegò in tv a Franca Leosini che lo intervistava che non era stato lui a uccidere Pasolini, ma altri tre ragazzi con “un accento del sud”. 

TRA PRIMO E SECONDO GRADO DI GIUDIZIO ‘SCOMPARE’ IL CONCORSO DEGLI IGNOTI

Così, tra primo e secondo grado scomparve il concorso degli ignoti che, secondo il Tribunale ma non secondo la Corte d’Appello, affiancarono Pelosi. Posto che il concorso non aggrava la pena né l’attenua, se una Corte dice ‘no’ è come se dicesse alla Procura ‘basta, non si indaga più’. Chi ha avuto interesse a mettere in pratica tutto questo? “Pasolini, cronologia di un delitto politico” offre la versione dell’omicidio senza mandanti, ma solo in senso fisico. Il vero mandante era il clima di quegli anni, di aggressioni di ambienti e militanti neofascisti al ‘deviato’ Pasolini (da che pulpito) in ogni sua occasione pubblica, in particolare nei mesi che precedettero la strage di piazza Fontana e l’avvio della strategia della tensione, dell’humus politico e culturale che coltivava “la reazione” contro Pasolini. Racconta un’amica “di Pier Paolo” come Dacia Maraini: “Una sera a teatro, al Quirino, durante l’intervallo siamo andati al bar affollato da quella borghesia romana che lui aveva insultato tante volte, nei suoi scritti. Appena ci siamo avvicinati, tutti scapparono come avessero visto un appestato”. Insomma, il poeta-scrittore-regista non doveva più mobilitare una società intera, che era meglio non sapesse. Goffredo Fofi, decano della critica cinematografica, coglie però altre sfumature: “Può anche essere stato un omicidio politico, ma è come se ci fosse stato in lui, in Pasolini, una partecipazione alla sua fine. Non gli piaceva più il mondo. Di certo- conferma Fofi- la morte di Pasolini resta una sconfitta collettiva del paese”. Dietro alla macchina da presa, conclude Angelini sul contributo del suo lavoro: “La morte di Pasolini non è una morte come è stata raccontata allora e non è una morte come ancora oggi viene generalmente ricordata. Ad attendere Pasolini in quell’agguato c’erano almeno 6-7 persone, che lo aspettavano sul posto. Per ucciderlo”.

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