Il Sahel interroga le organizzazioni umanitarie: cooperare con le comunità locali è la chiave

Il Sahel interroga le organizzazioni umanitarie nel profondo: lo fa a partire dalle procedure di sicurezza impiegate in uno scenario dall’instabilità crescente, che spesso danno l’idea che gli operatori si muovano in delle “bolleâ€�, con delle conseguenze sul lavoro sul campo. Ma anche nel rapporto con le organizzazioni di base della società civile locali, che contribuiscono in modo fondamentale al processo di conoscenza dei beneficiari ma che poi, spesso, non si vedono riconosciuto il loro contributo in modo adeguato. Criticità e spunti di discussione emersi oggi nel corso di un congresso organizzato dalla ong Intersos in occasione del 30esimo anniversario della sua nascita.

Lo scenario è quello del museo Maxxi, nel quartiere Flaminio della capitale. Si riflette sulla regione del Sahel, intesa, suggerisce il titolo di un panel, come “Crocevia di emergenze: guerra, migrazione, crisi economica e cambiamento climatico�.

Le donne della società civile del Camerun

In un contesto così complesso, un ruolo chiave lo giocano le piccole organizzazioni della società civile. Ne parla Veronica Ngum, fondatrice e massima dirigente dell’associazione di donne con disabilità Community Association for Vulnerable Persons, di base nella regione Nord-occidentale del Camerun. La zona è teatro da almeno cinque anni di un conflitto fra milizie separatiste locali e governo centrale, scoppiato a partire dalle richieste di maggiore rappresentanza della popolazione anglofona che è in maggioranza in questa parte del Paese. “Ci troviamo fra incudine e martelloâ€�, denuncia Ngum. “Facciamo un lavoro quotidiano di mediazione anche per garantire il sostengo alla popolazione che vive nell’epicentro delle ostilità. Quando parliamo con i miliziani siamo accusati dalle forze armate di prendere posizione a loro favore, mentre quando interloquiamo con le autorità siamo minacciate dai gruppi armati. Diverse di noi sono state uccise o torturate”.

Il ruolo delle organizzazioni di base della società civile presenta delle complessità anche rispetto al ruolo nel sistema degli aiuti umanitari. “Ci sono le ong nazionali più grandi, poi ci sono quelle straniere e poi le organizzazioni internazionaliâ€�, spiega l’attivista. “Realtà come la nostra partecipano spesso al processo di valutazione delle necessità dei beneficiari, ma questo presenta due problemi: da una parte, siamo noi ad assumerci delle responsabilità rispetto alle persone per quanto riguarda procedure di selezione che non sono decise da noi. Inoltre- prosegue Ngum- la mancanza di risorse che caratterizza le nostre associazioni non ci permette di instaurare un rapporto di vera partnership con organizzazioni più grandi, anche quando queste si appoggiano sul nostro lavoroâ€�.

Da qui alcuni appelli al mondo delle organizzazioni internazionali come, ad esempio, quello di “rendere più semplici i requisiti di idoneità per vedersi assegnare dei finanziamenti, che spesso sono proibitivi per realtà più piccole�.

Il tema della sicurezza

La sicurezza è invece uno dei temi centrali toccati nel suo intervento da Francesco Strazzari, professore di Relazioni Internazionali della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed esperto di scenari africani. “Nei Paesi del Sahel si assiste a una crescita delle attività di gruppi armati e del numero di vittime civili, con un incremento degli attacchi del 30 o 40% all’annoâ€�, mette in guarda il docente. “Milizie di ispirazione jihadista controllano il territorio di alcuni Paesi, soprattutto nel nord, con il risultato che sta emergendo un panorama in cui le capitali restano delle bolle di sicurezza, ogni tanto attaccate dalle milizie, e il resto del Paese è quasi inaccessibileâ€�.

Anche il mondo dell’assistenza umanitaria può rimanere bloccato in questa polarizzazione. “Si può porgere il fianco a critiche relative all’idea che l’uomo bianco occidentale stia fra uomini bianchi occidentali, al sicuro. C’è chi sfrutta questa retorica- avverte Strazzari- come la Russia, che sta incrementando la sua influenza nella regione, dal Mali al Burkina Faso, anche vendendosi come forza anticoloniale. Un elemento questo, che è qualcosa di assurdoâ€�.

Esistono processi di uscita da questa trappola però, afferma il professore, anche rispondendo alla domanda online di un operatore sulla questione del privilegio. “Bisogna concentrarsi sulle necessità dei beneficiari e poi concepire la sicurezza come un fatto relazionale” dice Strazzari, che avverte: “Non la si ottiene chiudendosi in un recinto, ma approfondendo la conoscenza della comunità locale”.
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