In Italia 3mila apolidi, nasce l’Unione: “Diamo voce agli invisibili e snelliamo le norme”

Foto: UNHCR/Valerio Muscella (a sinistra a destra, Edin Portonato Ruznic, Karen Ducusin, Armando Augello Cupi e Romina Todorovic, i quattro fondatori di UNIA)

ROMA – “La mia sola certezza è che sono nato a Sanremo. Le altre informazioni sul mio atto di nascita, come ho scoperto anni dopo, erano false. Quando avevo pochi mesi i miei genitori biologici, di cui non conosco neanche la nazionalità, mi hanno abbandonato e sono stato cresciuto da una coppia italiana. Ma a 18 anni ho scoperto cosa fosse l’apolidia”. Inizia così il racconto di Armando Augello Cupi, presidente dell’Unione italiana apolidi (Unia), la prima associazione di questo genera istituita per rappresentare le circa 3mila persone senza nazionalità residenti in Italia – sui circa 10 milioni nel mondo – presentata stamani a Roma.

L’organizzazione è stata fondata da Augello Cupi insieme ad altri tre giovani tra i 24 e i 33 anni nella sua stessa condizione, e riceve il sostegno del programma PartecipAzione dell’Unhcr e di Intersos per “dare voce agli invisibili”.

“Da bambino ho avuto un’infanzia normale” racconta Augello Cupi, ma i guai arrivano con la maggiore età, quando al Comune scopre che “non risultavo da nessuna parte e non potevo avere la carta d’identità“. Avvia così la procedura di riconoscimento dello status di apolide, ma al momento di iscriversi all’università La Sapienza di Roma, “nel sistema informatico, inserendo ‘apolide’ al posto della cittadinanza, non riuscivo a proseguire. Ho temuto di dover rinunciare”.

STORIE DIVERSE MA CHE SI RIPETONO: “MI HANNO NEGATO I DOCUMENTI”

Ostacoli che conferma anche Romina Todorovic, 33 anni, nata e cresciuta in Italia da genitori di etnia rom: “Sono entrambi serbiarrivati dalla ex Jugoslavia negli anni ’80” ricorda Todorovic, oggi educatrice di sostegno per bambini diversamente abili. “Quando i passaporti sono scaduti non li hanno potuti rinnovare e sono rimasti senza documenti. Per questo motivo io non ho mai avuto la cittadinanza serba e a 18 anni non ho potuto chiedere quella italiana” perché “essendo cresciuta in un ‘campo nomadi’, non avevo mai avuto una residenza”.

Karen Ducusin, il terzo membro di Unia, è nata a Messina nel 1994 da genitori filippini. Una volta separati, a causa di difficoltà economiche e scarsa conoscenza della lingua la mamma “ha avuto paura che io e i miei fratelli saremmo stati portati via e non si è mai rivolta al comune. Abbiamo vissuto per anni in un limbo, senza documenti. Quando ho finito il liceo, non sono riuscita ad iscrivermi all’università perché serviva almeno una carta d’identità. Sono andata al Comune tantissime volte nel corso degli anni, per sentirmi dire ogni volta: ‘cosa possiamo fare per te?'”.

Infine Edin Portonato Ruznic, 28 anni, nato in Slovenia in tempi incerti “in cui la burocrazia e i lavori d’ufficio nei comuni erano sotto pressione a causa delle grandi trasformazioni in corso nell’allora Jugoslavia. Una situazione che mi ha portato a essere apolide”.

Unia ora chiede alle istituzioni di promuovere informazioni chiare ad affidabili per informare sia le persone apolidi dei propri diritti sia gli uffici pubblici interessati; riformare le procedure di determinazione dell’apolidia in modo da renderle maggiormente accessibili ed efficienti, in linea con gli standard internazionali; facilitare in maniera efficace l’ottenimento della cittadinanza italiana per le persone apolidi attraverso, per esempio, la riduzione dei tempi della procedura e l’esenzione dal test di lingua, uniti a un’applicazione flessibile del requisito relativo al reddito.

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