Il conto delle pensioni sfonda il tetto dei 300 miliardi e crescerà per altri ventenni

C’è un record nel record della spesa pubblica che sfonda quota 1.000 miliardi. Ed è quello della spesa previdenziale che nel 2023 andrà sopra i 300 miliardi, quasi un terzo di quanto spende l’Italia per mandare avanti il Paese. Solo la rivalutazione all’inflazione delle pensioni contribuisce ad alzare quest’onda di 50 miliardi dal 2022 al 2025. E questo anche per la decisione del governo Draghi di tornare, già a partire da quest’anno, a un metodo molto più favorevole per l’adeguamento ai prezzi degli assegni: gli scaglioni di Prodi dopo le fasce di Letta e Conte. Tecnicalità, si potrebbe dire. Che però fanno molto felici le pensionate e i pensionati italiani, oltre 16 milioni di italiani. Specie il prossimo anno , con le pensioni su del 7,3%.

L’Europa però è preoccupata, non da oggi. Non c’è documento di “Raccomandazione” nel semestre europeo che non ricordi all’Italia di mantenere il sistema in equilibrio e sostenibile, ora che l’inverno demografico avanza e il rapporto tra occupati e pensionati rischia di fibrillare. Nei calcoli Istat, perderemo 5,2 milioni di residenti dal 2020 al 2049, per effetto del rapporto negativo tra nascite e decessi e di quello positivo (anche se sempre meno) tra immigrati ed emigrati. «Il rapporto tra attivi e pensionati è a 1,46: per sentirci più al sicuro dovremmo stare sopra 1,50», ragiona Alberto Brambilla, esperto previdenziale e presidente di Itinerari Previdenziali. «Dietro di noi ci sono solo Bosnia, Croazia, Slovacchia. Siamo 26esimi su 30. Ci consoliamo con la Francia che, nonostante il quoziente familiare, è a 1,30 e affronta una grave crisi del welfare». Con 1,17 figli per donna in Italia non potrebbe essere in un altro modo. Anche la presenza di stranieri non riesce a bilanciare il vuoto demografico. Il grafico che fa la differenza e a cui guarda la Commissione europea ogni tre anni per il suo “Ageing Report” – con gli scenari demografici che si trasformano poi in richiami contabili – è quello della gobba pensionistica. Ogni governo inserisce una volta all’anno nel Def (il Documento di economia e finanza) di primavera questa curva per spiegare “le tendenze di medio-lungo periodo del sistema previdenziale italiano”. Per dire cioè da dove veniamo e dove andiamo e se la spesa sta per esplodere e dobbiamo contenerla. La gobba racconta tante cose, soprattutto se confrontata con quelle precedenti alla riforma Fornero che ha messo in sicurezza la spesa per pensioni, aumentando tutti i requisiti: età e contributi, legandoli all’aspettativa di vita, quindi allungandoli in automatico. Non senza problemi: a partire dagli esodati, per finire con la stagione delle Quote dal 2019 a oggi, pensate come tentativi di addolcire quella rigidità con le finestre.

Ebbene, la gobba ci dice che la spesa per le pensioni sale quando il Pil crolla (come nel 2020 a -9%) e ci sono deroghe alle norme Fornero, come Quota 100. Scende quando il Pii cresce e ci sono più lavoratori e meno pensionati da pagare. In Italia questo secondo quadro si avrà solo dal 2045 in poi, quando il metodo contributivo sarà applicato a tutti. E avremo superato l’uscita della coorte dei baby boomers, i figli del boom Anni Cinquanta. La curva è legata alla crescita del Paese perché, come il deficit e il debito, è in rapporto al Pii. L’Italia non avrebbe un problema di pensioni (e di debito), nonostante una popolazione che invecchia, se il suo Pii fosse sempre alto e positivo. A bocce ferme, con una previsione di Pii al +1% all’anno, la spesa previdenziale rispetto al Pii – secondo la Nadef, la nota che aggiorna il Def – è al 15,6% quest’anno, salirà al 16,1% il prossimo (come nel 2021), poi 16,6% nel 2024 e 16,5% nel 2025. Fino a un massimo del 16,9% nel 2044. Poi da lì si scende per atterrare al 13,8% nel 2070. In soldi, fa impressione: passiamo da 286 miliardi del 2021 a 297 miliardi di quest’anno. Poi 321 miliardi nel 2023, 345 nel 2024 e 355 nel 2025.

Numeri da capogiro. Anche se la stessa Commissione Ue riconosce che le riforme avviate dall’Italia a partire dal 2004 hanno compresso la spesa pensionistica di 60 punti di Pii sino al 2060. C’è poi un altro punto, sollevato con forza dai sindacati: la separazione tra spesa per assistenza e previdenza. «Se dalla spesa previdenziale, quella che matura dai contributi versati, togliamo la spesa assistenziale coperta dallo Stato, come gli assegni civili e l’invalidità, l’Italia è sostenibile», osserva Alberto Brambilla. Se poi si sottrae anche l’Irpef pagata sulle pensioni e che torna allo Stato, va ancora meglio. «Rifacendo i conti da 286 miliardi del 2021 scendiamo a 153, una spesa per il 92% sostenuta dai contributi sociali versati dal lavoratore: una parti ta di giro», dice Brambilla.

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