CARENZE CONTRIBUTIVE E DIRITTO ALLA PENSIONE:
LA CORTE SUPREMA FA SCRICCHIOLARE IL SISTEMA

Riflessioni a caldo sulla sentenza n. 15643/2018

L’iscritto ad una Cassa di previdenza, finora, si dice abbia pagato e paghi per finanziare tre trattamenti pensionistici: il proprio e quello retributivo degli attuali pensionati, attraverso la propria contribuzione rispettivamente soggettiva e integrativa; quello degli iscritti ai fondi Inps, attraverso l’Irpef.

In realtà, senza che codesto iscritto se ne sia accorto, da tempo è iniziato a suo carico un subdolo accantonamento che inciderà sulla sua pensione; almeno, è già cominciata la maturazione di un quarto diritto da finanziare – di natura previdenziale o assistenziale lo capiremo poi – che molto probabilmente si affermerà nel giro di pochissimi anni e sarà capace di depotenziare il montante individuale, dal quale verrà attinto per assicurare un dignitoso trattamento a chi non sarà stato in grado di alimentare il proprio durante la carriera.

Narra l’art. 38 della Costituzione: “Ogni cittadino (..) sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento (..). I lavoratori hanno diritto che sian preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di (..) vecchiaia, (..). Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato.

Traduco: qualunque ente pensionistico deve garantire la pensione (o strumento analogo) a chi non avrà potuto adeguatamente costruirsela.

Cassa Ragionieri vive una realtà demografica e reddituale non tanto diversa (semmai sensibilmente più accentuata) da quella di altri enti previdenziali: iscritti che non versano regolarmente i contributi, giovani con bassi redditi. Per i primi si pone il problema della decorrenza della maturazione del diritto pensionistico, sancito all’art. 19 del Regolamento di Previdenza, per il quale occorre fra l’altro raggiungere quarant’anni di contribuzione; per i secondi la questione si sposta ma non di tanto: con bassi redditi si eseguono bassi versamenti e in regime contributivo si avranno pensioni da fame.

Fra le strategie che la nostra Categoria non può pensare di non perseguire vi è quella di garantire sufficienti prerogative professionali anche agli iscritti alla sezione B, gli Esperti Contabili, in modo che essi abbiano possibilità di conseguire redditi più elevati e quindi di versare più contributi, posto che la contribuzione volontaria non potrà mai essere la soluzione compensativa ai problemi di chi versa pochi contributi obbligatori, potendosela permettere solo chi ha guadagnato di più. Spero che questo aspetto non passi inosservato in tempi di riforme del 139.

Fra le strategie previdenziali che nessuna Cassa può più ignorare vi è quella di avviare immediatamente un percorso capace di garantire – ora per allora – provvidenze a tutti gli iscritti che, in vecchiaia, non potranno contare su di un assegno pensionistico adeguato. Immediatamente, perchè per costituire un fondo del genere occorrono tempo e quattrini. Immediatamente, perchè per fare previdenza occorre già oggi “prevedere e assicurare”: lo impone l’anzidetto art. 38 (“i lavoratori hanno diritto che sian preveduti e assicurati..”) che scolpisce sulla pietra la promessa previdenziale, offre la garanzia di un trattamento dignitoso, firma la cambiale cui nessun fondo pensionistico può sottrarsi.

Il descritto scenario non può essere ignorato, rinviato, interpretato in maniera comoda.

Sono anni che lo sostengo, dissentendo da idee alternative di assistenza tese ad esempio ad attenuare taluni costi di conduzione dello Studio, idee di impatto mediatico più efficace nel breve ma lontane dall’indirizzo Costituzionale e pressochè inutili nel medio e lungo termine rispetto alla necessità più sopra focalizzata: l’invecchiamento demografico, lo scarso ricambio generazionale e l’impoverimento reddituale sono da correlare alle omissioni contributive di iscritti morosi, agli insufficienti versamenti di iscritti con bassi redditi, a equilibri attuariali sempre meno probabili, problemi seri che impongono di trovare urgentemente la soluzione finanziaria ad un pesante macigno che si schianterà a breve sui tavoli previdenziali.

La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 15643/2018, ha dato torto a Cassa Geometri che rigettava una domanda di pensione in carenza di periodi contributivi, e ha.. dato ragione a me.

Al di là dei cavilli tecnici sui quali hanno disquisito le parti processuali, tre sono i principi generali che risaltano:

1) ai fini della maturazione pensionistica, la contribuzione effettiva dell’iscritto non sempre coincide con la sua stessa integralità: vero è che lo statuto di CIPAG prevede il diritto alla pensione con sessantacinque anni di età e trenta di “effettiva” contribuzione, mentre le norme di CNPR precisano che esso matura al raggiungimento del sessantottesimo anno di età e con quarant’anni di iscrizione e di contribuzione (non c’è l’aggettivo “effettiva”); ma è altrettanto vero che se si apre il fronte dei giudizi di legittimità a garanzia dei diritti del cittadino, giudizi nei quali si prospetta, caso per caso, l’esame della fattispecie nel rapporto fra iscritto e Cassa, magari va a finire che le Sezioni Unite si pronunzieranno per stabilire un indirizzo universale con sorti che non è affatto peregrino ritenere possano rivelarsi dirompenti per gli equilibri attuariali degli enti, almeno di quelli più debolucci.

2) il diritto pensionistico non può dipendere dall’efficacia delle politiche che una Cassa persegue per verificare i redditi degli iscritti e riscuotere tempestivamente la contribuzione dovuta. Altro tasto dolente per Cassa Ragionieri che sappiamo avere in pancia un rilevante problema di riscossione, in realtà triplice, poiché se da una parte l’entità dei crediti verso gli iscritti ha raggiunto limiti preoccupanti e da un’altra lo stesso numero di iscritti morosi è inusitato rispetto alla demografia complessiva, dalla terza emerge che le morosità di chi ha stratificato debenze pregresse proseguono anche sul corrente, il che rende esigua la probabilità di un successo  nell’azione di riscossione – parlando di grandi numeri – sia essa gentile o maleducata.

3) il diritto alla quiescenza è sacrosanto anche per chi non ha potuto costruirsela: se oggi lo Stato provvede (e tenderà sempre più a provvedere) a integrare con misure sociali/assistenziali le carenze previdenziali, c’è da aspettarsi che pretenda lo stesso (sempre più) dalle Casse private e privatizzate. Ritorna l’art. 38, nella sua parte conclusiva: “ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato.” e una Cassa è sicuramente un istituto predisposto dallo Stato attraverso gli interventi normativi che l’hanno prima costituita e poi privatizzata.

Simone Boschi

(delegato Cnpr di Firenze)

Riceviamo e pubblichiamo

Contribuzione Cassa Geometri, Cassazione Lavoro n. 10431/2017: per la pensione vale solo l’anno integralmente pagato

Egregio direttore,

il principio dettato dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 15643/2018, non appare univoco. La Suprema Corte con sentenza della stessa Sezione Lavoro n. 10431/2017, pubblicata in data 27 aprile 2017, si è pronunciata sul punto affermando il principio secondo cui per il riconoscimento del trattamento pensionistico non solo la contribuzione dovrà essere regolarmente ed integralmente versata ma dovranno essere pagate anche le eventuali sanzioni relative all’omesso o ritardato pagamento della stessa. Ne consegue che la contribuzione versata solo in misura parziale non può essere presa in considerazione ai fini del calcolo pensionistico.

L’ufficio legale Cassa Italiana Previdenza e Assistenza Geometri

Il problema dell’adeguatezza delle pensioni

Caro direttore,

è interessante lo spunto di riflessione proposto dal dottor Simone Boschi. Non è argomento nuovo né per la previdenza Italiana né, tanto meno, per quella della nostra categoria.

Il problema dell’adeguatezza delle pensioni è un problema annoso in generale. La Cnpr, da ultimo, se lo pose in occasione della riforma del 2003, quando si passò dal metodo di calcolo reddituale a quello contributivo. Si era all’epoca consapevoli che il metodo contributivo, in generale, produce importi pensionistici più bassi di quello reddituale. Per correttezza intellettuale bisogna aggiungere che ciò è vero date le attuali condizioni economiche e demografiche. In generale un metodo non è migliore o peggiore dell’altro, dipende da come lo si applica. Se, ad esempio, l’aliquota di rendimento nel calcolo reddituale anziché essere il 2% fosse lo 0,5% anche questo metodo produrrebbe importi bassi (e tale aliquota sarebbe peraltro difficile da spiegare). Se, invece, l’aliquota di finanziamento fosse del 33% (come quella dei dipendenti) e l’economia crescesse ad una media del 3% all’anno allora anche il calcolo contributivo produrrebbe delle pensioni faraoniche.

Ma veniamo al ragionamento proposto.

L’art. 38 della Costituzione recita:

“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.”

Analizziamo l’articolo un comma alla volta.

Nel primo, lo Stato si fa carico dell’assistenza sociale e quindi delle misure che servono a garantire un adeguato tenore di vita anche a chi è titolare di un reddito inferiore ad una certa soglia e non ha la possibilità di avere altre entrate (perché invalido di guerra o inabile al lavoro per malattia ad esempio).

Con il secondo comma lo Stato si occupa della previdenza sociale, che riguarda i soli lavoratori, che serve a tutelare, oltre che dai rischi lavorativi di infortuni, invalidità …, anche da eventi naturali quali la vecchiaia. E’ una previdenza sociale obbligatoria il cui scopo è quello di consentire al soggetto una vita dignitosa. Negli anni si sono susseguite numerose disposizioni di legge volte a limitare o condizionare il diritto a queste forme di tutela e tali interventi sono stati ritenuti legittimi per la necessità di contemperare questo diritto con le risorse finanziarie disponibili.

Saltiamo il comma 3 che esula da questo ragionamento e che attiene alla particolare situazione di svantaggio di alcune categorie di cittadini e il comma 4 per evitare di fare l’elenco di tutti gli organi ed istituti italiani che provvedono all’assistenza e alla previdenza.

Leggendo il commento all’art. 38 della nostra costituzione di molti studiosi (Santoro Passarelli e Giannini per citarne alcuni e fino al professor Mattia Persiani legato da amicizia con la Cassa Ragionieri), ci siamo convinti che è la solidarietà con gli altri esseri umani ad aver segnato un’esperienza civile e spirituale, individuale e collettiva tale da aver caratterizzato il percorso dell’umanità attraverso la storia

L’epoca moderna ha visto i compiti di solidarietà, già esercitati dalla società civile nelle sue varie articolazioni, progressivamente dilatati, generalizzati e assunti tra le funzioni primarie dello Stato. D’altro canto questo fenomeno non risulta, ancor oggi, stabilmente assestato, perché le tensioni al cambiamento sono forti. È certamente nuovo, invece, il rapporto che ancora non si è perfettamente delineato tra singoli, società e Stato, che interessa e accomuna gli Stati dell’area cosiddetta occidentale, alla quale apparteniamo.

La “libertà dal bisogno” rappresenta l’obiettivo principale dei moderni ordinamenti ed il riferimento ad essa, anche quando non espressamente enunciato, perviene ad accrescere il novero delle libertà garantite o da garantire. Anche in Costituzioni che non la enunciano espressamente, come quella italiana, è evidente come la garanzia di libertà dal bisogno idealmente sostenga e giustifichi tutta una serie di diritti e di libertà riconosciuti dall’ordinamento, tra i quali emergono il diritto alla salute – al quale, infatti, la Costituzione espressamente si riferisce come diritto fondamentale del singolo, oltre che interesse dell’intera collettività –, il diritto all’assistenza, il diritto alla previdenza, la libertà dell’iniziativa privata in campo assistenziale e previdenziale. La libertà dal bisogno appartiene alla categoria delle libertà per la cui soddisfazione non basta la garanzia di esenzione da interventi esterni, ma è richiesta l’adozione da parte del legislatore di iniziative di carattere positivo, indirizzate ad uno specifico fine.

Nell’ordinamento italiano i diritti previdenziali, dei quali qui specificamente ci stiamo occupando – trovano garanzia nella norma costituzionale. I diritti sociali sono diritti fondamentali e perfetti, anche se, come detto, la loro azionabilità è subordinata alla realizzazione da parte del legislatore ordinario dei profili modali. Il radicamento costituzionale, peraltro, esclude che la discrezionalità del legislatore possa essere piena ed insindacabile, tanto da ricondurre tali diritti in una prospettiva meramente programmatica. Proprio quel fondamento impone che l’eventuale sindacato incidentale di costituzionalità delle modalità di regolamentazione legislativa si eserciti in riferimento alla ragionevolezza della scelta adottata dal legislatore ordinario nel bilanciare l’esigenza di attuazione di quei diritti sia con gli altri interessi primari costituzionalmente garantiti, sia con le esigenze globali della finanza dello Stato.

Tutti i cittadini sono chiamati al soddisfacimento di tale pretesa e ad essi la Costituzione italiana espressamente e direttamente, come singoli e come formazioni sociali, impone doveri inderogabili di solidarietà (art. 2 Cost.). Il dovere di solidarietà, quindi, rappresenta uno strumento di promozione e garanzia della libertà di ciascuno, e, insieme, strumento di realizzazione del programma di liberazione e rinnovamento che il Costituente si è proposto come obiettivo. La solidarietà è, in via di principio, elemento di interrelazione e di coesione di tutto il corpo sociale, considerato unitariamente. La persona è l’oggetto di tale garanzia costituzionale e se ciò è vero allora la persona rappresenta il fine del sistema delle libertà costituzionali garantite. Dobbiamo essere consapevoli che la solidarietà, imposta dalla norma costituzionale a garanzia di quel sistema di libertà, non ha motivo di estendersi oltre quanto sia essenziale al conseguimento di quel fine, e che tale obiettivo, dunque, per quanto elastico possa risultare il riferimento al libero sviluppo della persona umana, di quei doveri costituisca il naturale confine.

Espressione tipica dell’azione sociale dello Stato è, quindi, la previdenza sociale, dotata ormai di riconosciuta autonomia scientifica e didattica anche se permangono ancora incertezze. Ne consegue, quindi, una sorta di crisi di identità della materia. Va osservato, in via generale, che la materia della previdenza sociale, espressione tipica delle politiche sociali proprie dello Stato moderno, risente, ovviamente, di tutti i mutamenti di tali politiche. Le iniziative dello Stato sociale rispondono in prevalenza ad esigenze e problemi di ordine pratico; e questi, pur determinati da fenomeni di rilevanza generale, sono mutevoli nel tempo, nell’ambito di più o meno avvertite e consapevoli variazioni nel medio o lungo periodo della cosiddetta costituzione materiale.

Va inoltre sottolineato come, in tema di diritto previdenziale, è confermata l’inesistenza di una corrispettività tra contributo e prestazione previdenziale, confermata dal “principio dell’automaticità della prestazione”. Questo principio stabilisce che le prestazioni previdenziali sono dovute al prestatore di lavoro anche quando l’imprenditore non abbia versato i contributi dovuti, salve le diverse disposizioni speciali (art. 2116 C.C.). Il principio sta a significare che le prestazioni previdenziali non sono erogate in funzione del versamento dei contributi previdenziali, a differenza da quanto avviene nel contratto assicurativo privato. Ed infatti per lungo tempo il “principio dell’automaticità delle prestazioni” non aveva trovato attuazione nella tutela per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, salvo poi essere ormai esteso, sia pure parzialmente, alla tutela per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti. Ciò perché la legge ordinaria, da un lato, ha disposto che il requisito di contribuzione, stabilito per le relative prestazioni, si debba intendere verificato anche quando i contributi non siano stati versati, ma risultino dovuti nei limiti della prescrizione e, d’altro lato, ha previsto che i periodi non coperti da contribuzione siano considerati utili anche ai fini della determinazione delle pensioni. Ove la prescrizione si sia maturata, infatti, l’adempimento dell’obbligo contributivo, con eccezione di casi particolari, continua a condizionare l’obbligo di erogazione delle prestazioni previdenziali.

Un limite di operatività del “principio dell’automaticità della prestazione” attiene però all’ambito soggettivo, ovvero ai soggetti beneficiari di tale garanzia. Innanzitutto, va detto che l’automaticità non opera per le gestioni dell’assicurazione generale obbligatoria, cui fanno capo i lavoratori autonomi, artigiani, commercianti e coltivatori diretti (salvo specifiche disposizioni di legge in senso diverso, come per i soci di cooperative: L. n. 142/2001). Ciò si spiega in quanto l’automatismo è finalizzato a tutelare il lavoratore dipendente dai pregiudizi derivanti dall’inadempimento del datore di lavoro e non si giustifica quando l’inadempimento contributivo sia imputabile allo stesso soggetto protetto, per la coincidenza tra soggetto tenuto alla contribuzione e beneficiario della prestazione pensionistica.

Per le medesime ragioni il “principio dell’automaticità della prestazione” non opera per le forme di previdenza libero professionali.

In conclusione, va anche tenuto conto del fatto che le politiche dello Stato sociale fin dall’origine non hanno trovato attuazione – e non si realizzano tuttora – soltanto attraverso mezzi e strumenti di trasferimenti monetari, ma anche attraverso misure diversamente caratterizzate quali, in particolare, le misure di prevenzione, l’erogazione di servizi (non necessariamente a carico dell’erario), l’attribuzione di crediti o esenzioni fiscali, e non soltanto attraverso organismi pubblici, ma anche attraverso strutture ed iniziative private (sia pur delegate, controllate, promosse o assistite dalla mano pubblica).

Ben venga quindi l’articolo del dottor Boschi e di tutti quelli che vorranno contribuire perché il problema non può essere risolto soltanto aumentando il montante. Alcuni istituti pensati per le situazioni più difficili li abbiamo già: dobbiamo aumentare i servizi e la prevenzione per ridurre così il “bisogno” da alleviare con pensioni più dignitose.

Dobbiamo inoltre essere forti nel non farci trascinare dall’attuale situazione economica. La riduzione dei fatturati causata dalla crisi economica non deve farci perdere la lucidità necessaria. Non dobbiamo prendere decisioni “emotive” ma razionali, di valenza generale.

E’ condivisibile la necessità di garantire agli esperti contabili sufficienti prerogative professionali: essi sono il futuro della professione, come dimostra la recente indagine realizzata dalla Fondazione Nazionale Commercialisti sui trend di crescita degli iscritti all’Ordine professionale, e della Cassa di previdenza. Per il momento la Cassa è riuscita a dare loro una stabilità e un futuro previdenziale. Il bilancio tecnico, non più sviluppato a popolazione definita, proietta una situazione sicuramente più stabile che in passato. Dopo essere stati incudine per anni ora è il momento di trasformarci in martello e iniziare a forgiare il nostro futuro, il futuro della Cassa Ragionieri.

In chiusura di questo scritto devo però dissentire sulla lettura della recente sentenza della suprema Corte di Cassazione n. 15643/2018.

Questo provvedimento non ha accolto il ricorso della Cassa dei geometri che aveva prescritto, a fronte di contribuzione parziale, interi anni di un iscritto.

La Cassa Ragionieri non opera come la Cipag, prescrivendo interamente un anno nel quale è stata versata una parte dei contributi.

La Cnpr non valuta la “effettiva” contribuzione, e quindi, al momento, teorizzare una pronunzia “per stabilire un indirizzo universale con sorti che non è affatto peregrino ritenere possano rivelarsi dirompenti per gli equilibri attuariali degli enti, almeno di quelli più debolucci”, appare né più né meno di un puro esercizio di stile.

Come viene detto in sentenza, il mancato invio dei dati reddituali sospende il decorso dei termini di prescrizione e tale sospensione opera anche se la Cassa ha la possibilità di avere quei dati dall’Amministrazione finanziaria. E’ ciò che accade anche per Cassa Ragionieri che, in ogni caso, ha stipulato una convenzione con l’Agenzia delle Entrate, recentemente ampliata nei servizi.

Infine, l’efficacia delle politiche messe in campo sui crediti è maggiore di quanto si voglia riconoscere. L’attività sull’annualità contributiva 2015, svolta dalla Cassa l’anno scorso, propedeutica alla contestazione di tutta la posizione contributiva (in corso di svolgimento) ha comportato un’importante riduzione dei crediti del 2015 e quindi la “stratificazione delle debenze” non prosegue sul corrente. Il problema dei crediti resta. Esso non è una novità, bensì un problema che si è sedimentato nei decenni antecedenti, ma affrontato dalla passata consiliatura e che sarà ulteriormente perseguito strenuamente dall’attuale in continuità d’azione.

Carlo Maiorca
direttore generale Cnpr