Le donne hanno capacità multitasking superiori rispetto agli uomini

“Parità di genere significa dare alle colleghe la possibilità di svolgere il ruolo multiplo di donne, madri e professioniste, all’interno del contesto sociale, senza sentirsi in difetto di tempo. Significa dare la possibilità alle donne, attraverso una serie di strumenti, di non negare se stesse ma anzi di sviluppare al meglio le proprie potenzialità: in questo modo si contribuisce ad una crescita equilibrata del tessuto sociale”. Così Marcella Caradonna, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Milano, a margine del forum sulla cultura di genere organizzato dalla Cassa nazionale di previdenza dei ragionieri.

Secondo Miriam Dieghi, consigliere di amministrazione Cadiprof, “se è vero che dagli anni ’70 ad oggi si sono fatti grandi progressi nella lotta alla discriminazione di genere, il divario tra uomini e donne, specificatamente nel modo del lavoro, è comunque molto ampio. L’imposizione delle cosiddette “quote rosa” e l’istituzione delle commissioni per le pari opportunità, se da un lato rappresentano innegabilmente un necessario strumento a tutela dei diritti delle donne, dall’altro sono l’evidente dimostrazione dell’esistenza della discriminazione di genere”.

Alla manifestazione è intervenuto anche Stefano Verza, psicologo del lavoro: “Parlare oggi d’invito alle pari opportunità nel mondo del lavoro sembrerebbe un paradosso come quello di chiedersi se in un’aula scolastica sia meglio avere un insegnante maschio o femmina. Partendo dal presupposto che siano entrambi preparati nella loro materia, aldilà del sesso, sarà più produttivo un docente che prenda l’aula come una palestra di attività per condurre ciascuno dei suoi allievi all’autorealizzazione di un altro che consideri la scuola soltanto come una semplice trasmissione di nozioni e di rudimenti di cultura. Discutere poi di superiorità maschile in campo professionale è altrettanto un’assurdità culturale, psicologica, sociale e pure, neurofisiologica”.

Neurofisiologicamente, infatti, i due emisferi cerebrali di una donna, intesi come due computer seriali, sono collegati da un cavo, il cosiddetto corpo calloso, molto più grande nel cervello femminile che in quello maschile. “Ciò vuol significare – ha proseguito Verza – che il cervello femminile è in grado più di quello maschile di allineare i due emisferi, dando una capacità multitasking alla donna rispetto all’uomo. Qualcuno potrebbe obiettare che il cervello di una donna, dato che è più piccolo è anche meno intelligente. È un luogo comune questo privo di fondamento: il cervello femminile è più piccolo solo perché dipende dalla struttura maschile più massiccia di quella femminile. Non solo, l’intelligenza non è relativa alla grandezza del cervello ma alla densità neurale, quindi, di che stiamo parlando? La verità è che questa presunta superiorità maschile è un “non sense”, frutto di credenze preconcette di un sistema di potere maschilista e assai poco incline a condividere i propri vantaggi”.

In conclusione, per il filosofo Carlo Maria Cirino, fondamentale è la cooperazione: “a cooperare s’impara giocando. A competere, a scuola. È questa la situazione nella quale ci troviamo a vivere. L’identità di genere la si deduce all’interno del gioco, cooperando. E si tratta di un’identità dedotta, quasi un’intuizione. A scuola, nel regno della verbalizzazione, il copione è fin troppo importante. Qui l’intuizione non ha spazio, né tempo a disposizione. Ogni cosa dev’essere definita, precisamente e fin da subito. Leader, esecutori, e avanti tutta. Efficientismo produttivo, lo chiamano alcuni. Ma a quale prezzo? In educazione il prezzo lo si paga fin da subito, dai primi gradi d’istruzione. Poi, chissà. Ci sarà tempo per preoccuparsi. Offrire soluzioni linguistiche a questa situazione è il nostro compito. Un compito che, purtroppo, in pochi ci lasciano fare. Ma che in futuro potrebbe diventare determinante”.

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