L’equo compenso è per tutti

Equo compenso esteso a tutti i professionisti (anche a quelli non iscritti a ordini e collegi) e ai rapporti con la pubblica amministrazione. La novità è contenuta in un emendamento al dl fiscale (dl 148/2017) approvato dalla commissione bilancio del senato. Il testo allarga la misura, inizialmente prevista esclusivamente per gli avvocati, a tutti i lavoratori autonomi. Prende così corpo una delle maggiori richieste espresse dal mondo delle professioni nell’ultimo anno: una misura che garantisce una paga per i professionisti «commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione» offerta. Oltre all’estensione verso tutte le tipologie di professionisti, la seconda grande novità riguarda l’introduzione della pubblica amministrazione tra i soggetti obbligati a corrispondere un equo compenso alle prestazioni professionali; la norma antecedente prevedeva il dovuto rispetto della disposizione esclusivamente in capo a imprese bancarie, assicurative e alle grandi aziende (ovvero quelle non rientranti nella categoria di micro, piccole o medie imprese). L’emendamento va a modificare la legge 247 del 2012 (Nuova disciplina dell’ordinamento forense); in particolare, viene introdotto l’articolo 13-bis (l’art. 13, appunto, è titolato «conferimento dell’incarico e compenso»). Oltre a definire cosa si intenda per equo compenso (che, come detto, è tale quando commisurato alla quantità e alla qualità della prestazione) l’art. 13-bis introduce una serie di clausele vessatorie, ovvero «che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato». Le clausole considerate vessatorie prevedono la possibilità offerta al cliente: di modificare unilateralmente le condizioni del contratto; di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali dello stesso; di pretendere prestazioni aggiuntive a titolo gratuito; di richiedere l’anticipazione delle spese della controversia a carico dell’avvocato; di prevedere la rinuncia del rimborso spese dell’avvocato; di stabilire termini di pagamento superiori ai 60 giorni. Inoltre, saranno considerate vessatorie clausole che prevedano, nel caso di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, che all’avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto oppure che fissino compensi minori in luogo di convenzioni sostitutive equivalenti. Infine, non potrà essere previsto che, in caso di consulenza in materia contrattuale, il compenso per l’avvocato sia previsto solo in caso di sottoscrizione del contratto. Le clausole vessatorie saranno considerate nulle, ma non pregiudicheranno la validità dell’intero contratto che, escluse le clausole, rimarrà in vigore. L’azione volta alla dichiarazione di nullità deve essere proposta entro 24 mesi dalla sottoscrizione del contratto, pena decadenza dell’opportunità. Inoltre, la nullità opera soltanto a vantaggio del professionista. Una volta accertata la non equità del compenso e la vessatorietà di una o più clausole, spetterà al giudice determinare la paga per il professionista, sulla base dei parametri contenuti nel regolamento emanato dal ministero della giustizia, la cui definizione è istituita dall’articolo 1, comma 3 della legge 247 del 2012. Il giudice provvederà, inoltre, a definire nulle le clausole considerate vessatorie. L’approvazione dell’emendamento ha trovato il favore del ministro della giustizia Andrea Orlando, che ha espresso la sua soddisfazione in una nota. «E un impegno che ho preso con tutti i professionisti italiani per sradicare quello che ho più volte definito come un vero e proprio “capolarato intellettuale”, un impegno che, seppur con fatica e tra mille resistenze, stiamo portando avanti e che approveremo prima della fine della legislatura».

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