Non sarà un fallimento

Fine della gogna: conta solo il business. Parte da questa considerazione l’iter che ha portato alla stesura del decreto legislativo pubblicato lo scorso 30 ottobre (ancora in attesa dei decreti attuativi) e che ri-disciplina di fatto il «fallimento d’impresa» tramite un doppio passo: basta lettera scarlatta per l’imprenditore che non si troverà più appiccicato addosso il concetto di «fallimento» e di «fallito». D’ora in poi si parlerà di «liquidazione giudiziale». E, parallelamente, verrà introdotto il concetto di monitoraggio tramite l’allerta di impresa. In sostanza, verranno dati all’imprenditore tutti gli strumenti per poter intuire, prima dei sintomi, l’arrivo della malattia. L’obiettivo è quello di superare la legge su cui si basa il nostro attuale sistema di procedura fallimentare che risale al 1942 e che mantiene una connotazione punitiva nei confronti dell’imprenditore. Conseguenza collaterale: la riduzione dei contenziosi che i fallimenti inevitabilmente si portano dietro. Come conferma anche l’avvocato e commercialista Giuseppe Bemoni: «Evitare l’intervento giudiziale significa mantenere la continuità aziendale e, ovviamente i posti di lavoro. Si tratta di un meccanismo che valorizza il sistema premiante nei confronti di chi ha seguito correttamente l’iter normativo. E un ottimo sostegno a chi vuol fare impresa correttamente e una salvaguardia per chi, pur rispettando le regole, si ritrova in una condizione di bancarotta». Vigilanza e controllo «Cambia in sostanza lo spirito con cui tribunali e banche si troveranno ad affrontare il mondo delle imprese», spiega Jimmy Clarini, amministratore delegato di Entriage, società specializzata nel turnaround aziendale. In che modo? Facendo emergere anticipatamente la crisi, evitando così l’ambito giudiziale e favorendo le trattative tra debitori e creditori e mantenendo la continuità aziendale. Ma cosa si intende concretamente con allerta d’impresa? Significa attivare un’attività di monitoraggio e prevenzione, soprattutto per le piccole medie aziende, che storicamente hanno un sistema più lasco di controllo. Un limite culturale che porta spesso a una sottovalutazione di quei fattori che se ben analizzati, e soprattutto, capiti per tempo, possono evitare di arrivare a soluzioni drastiche come il concordato. Il testo prevede un vero e proprio protocollo di verifica che ha lo scopo di inquadrare l’impresa in una classe di rischio. Ad applicare il protocollo sarà il collegio sindacale o il revisore se presente, figure già oggi preposte al controllo contabile e alla vigilanza aziendale. Se non compaiono già in organico, le aziende (in particolare le srl con attivo di bilancio o ricavi per oltre due milioni e con dieci dipendenti), dovranno provvedere a integrarle. È un cambiamento che coinvolge oltre 175mila società a responsabilità limitata e che ha fatto storcere il naso a molti, visti i costi elevati che le imprese dovranno sostenere per adeguarsi agli obblighi previsti dal decreto legislativo. In particolare ad Assolombarda, che in questo contesto si trova a dover mediare tra due aspetti che coinvolgono l’impresa in crisi: la necessità per l’azienda di dotarsi di strumenti di ristrutturazione efficaci e l’esigenza di tutela dei creditori. Come ha tenuto a precisare la stessa associazione, «riteniamo che se è già previsto un obbligo di segnalazione in capo ai creditori pubblici qualificati, non sia proporzionato un tale aggravamento dei controlli interni». Massimo Talone, vice presidente della Commissione finanza e controllo di gestione dell’Ordine dei dottori commercialisti di Milano ha definito l’allerta d’impresa «la tempesta perfetta», visti i rischi e gli oneri che le imprese dovranno sostenere in un primo momento, a fronte di indubbi benefici poi sul lungo periodo. «In effetti — sottolinea Talone — molte delle procedure dell’allerta d’impresa rendono sistematici e obbligatori processi di controllo che dovrebbero già esistere nelle aziende». La prevenzione passa anche da una sorta di «check lisi» di 4o domande che spaziano dal controllo del piano di investimenti all’analisi della gestione delle risorse. L’impresa ottiene quindi un rating che segnala il livello di rischio. Sarà poi compito del sindaco o del revisore attivare il processo di allerta e chiedere ai manager di adottare provvedimend. Ed è responsabilità (anche legale) dei vertici e degli stessi revisori/sindaci, prendere le misure adeguate. Un sistema di controllo di questo genere permette alle banche di spostare il focus di analisi del merito creditizio da una valutazione «backward looking» basata solo su informazioni storiche, a una «forward looking», fatta soprattutto su informazioni prospettiche, obbligando gli istituti a monitorare anche i crediti in bonis per tutelare le proprie risorse, cambiano anche il fattore di rischio legato ai prestiti che facilmente possono diventare crediti deteriorati. Assolombarda si sta già muovendo: «Stiamo organizzando un ciclo di seminari che permetta agli imprenditori di riconoscere con anticipo i primi segnali di crisi e affrontarli tempestivamente».

Reviews

Related Articles