L’approvazione della norma sull’equo compenso è la prima grande vittoria politica dei professionisti dai tempi delle lenzuolate di Visco-Bersani del 2006. Non si può dire che la disciplina contenuta nel decreto legge fiscale collegato alla legge di Bilancio sia un esempio di chiarezza e completezza o che risolva tutti i problemi legati all’abuso di posizione dominante di certi enti o società nei confronti dei professionisti. E’ una norma scritta in condizioni di evidente affanno durante le concitate votazioni notturne che hanno preceduto la prima approvazione della legge di conversione del dl 148, ma si tratta comunque di un importante baluardo che il Parlamento ha voluto concedere nei confronti di una categoria che era considerata portatrice di interessi corporativi. Anacronistici privilegi da smantellare. Portabandiera ideologico di questa visone è l’Antitrust. L’authority è sempre stata contraria a tariffe, parametri o qualsiasi elemento che potesse disturbare la libera contrattazione del valore della prestazione professionale. Tanto che pochi giorni dopo l’approvazione della norma sull’equo compenso ha diffuso un parere nel quale prendeva posizione contro l’intervento legislativo citando la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 1998 che dichiarava illegittime le tariffe degli spedizionieri doganali, omettendo però di citare altre sentenze della stessa Corte che invece confermavano la legittimità di misure normative per disciplinare i compensi dei professionisti, così come previsto dalla norma sull’equo compenso. Un intervento quindi partigiano che sembra collocare l’Antitrust, dietro il comodo paravento delle liberalizzazioni, a difesa di banche, assicurazioni o grosse società che in questi anni sono riuscite a imporre ai legali contratti decisamente vessatori. Oppure a difesa delle pubbliche amministrazioni che stanno emanando bandi di progettazione o per la fornitura di altri servizi a un euro. Sinceramente da un’autorità garante ci si poteva aspettare un intervento più equilibrato. Ciò non toglie che la norma sull’equo compenso sia solo un primo passo e non possa considerarsi soddisfacente. Gli stessi politici che più si sono spesi per la sua approvazione hanno affermato che continueranno a lavorare per apportare le necessarie correzioni. Le questioni più urgenti si riferiscono alla parziale sovrapposizione delle norme dell’equo compenso con quelle molto simili dettate dall’articolo 36 della Costituzione, dal Jobs Act del lavoro autonomo (legge 81!2017) e dal nuovo codice degli appalti (digs 562017). C’è poi il problema legato alla prescrizione dell’azione di nullità del contratto, che è di soli 24 mesi a partire dalla sottoscrizione. E poi quello dell’estensione a tutti i professionisti di norme che in origine erano state pensate per far fronte ai problemi degli avvocati. Ciò crea almeno due problemi: non si capisce come si possano applicare i parametri che, per le professioni non ordinistiche, semplicemente non esistono e ci sono dubbi sull’applicazione della disciplina alle pubbliche amministrazioni. Resta il fatto che per la prima volta si mettono nero su bianco le clausole vessatorie dalle quali consegue la nullità parziale del contratto, specificando meglio rispetto al Jobs Act del lavoro autonomo il procedimento della tutela e le regole sull’onere della prova, dando chiare indicazioni al giudice sulle loro conseguenze.
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