Esenzioni fiscali e incentivi, creare una startup è più facile

All’ultimo Consumer Electronics Show di Las Vegas, la fiera mondiale dell’hi-tech più importante del mondo svoltasi a inizio anno, erano presenti 45 startup italiane, attive in settori che vanno dalla mobilità sostenibile alle guide digitali per non vedenti, da nuove soluzioni di telemedicina ai dispositivi indossabili per i motociclisti. Una dimostrazione di vitalità che conferma i passi in avanti compiuti dal nostro Paese su questo fronte, nonostante il persistere di problemi storici come la carenza di investitori specializzati nelle aziende da poco costituite. L’ultimo censimento realizzato dal ministero dello Sviluppo economico offre un quadro al 30 settembre scorso, quando le startup innovative (vale a dire le società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano o europeo, le cui azioni o quote non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione) iscritte all’apposito registro risultavano 7.854 (lo 0,48% di tutte le società di capitali della Penisola), ben 460 in più rispetto a tre mesi prima. II capitale sociale sottoscritto complessivamente dalle startup è pari a poco più di 380 milioni di euro, in media 48.428 euro a impresa, mentre la distilbuzione per settori di attività vede la netta prevalenza dei servizi alle imprese (70,6% del totale), in particolare produzione software e consulenza informatica. Milano è la provincia in cui è insediato il numero più elevato di nuove aziende con queste caratteristiche (15,8% del totale nazionale), davanti a Roma (8,6%), Torino e Napoli. il monitoraggio delle startup innovative viene realizzato pér identificare le imprese che possono accedere ai benefici previsti per questa tipologia di imprese, rappresentati da finanziamenti agevolati: in particolare possono ottenere una garanzia sul credito bancario da parte del Fondo di Garanzia per le Pmi, che copre fino all’80% di ciascuna operazione, per un massimo di 2,5 milioni di euro). Dal 2017 l’accesso agli incentivi è offerto anche alle società costituite da non più di 60 mesi e gli investimenti per marketing e web marketing. Altri vantaggi sono l’esenzione dall’imposta di bollo e dai diritti di segreteria per l’iscrizione al Registro delle imprese, la detrazione Irpef al 19% sulle spese, per un investimento massimo detraibile di 500mila euro per periodo d’imposta, e un credito d’imposta del 35% per l’assunzione di personale altamente qualificato fino a una soglia massima di 200mila euro annui per ogni impresa. Un allargamento del perimetro dettato dalla volontà del legislatore di consentire al nostro Paese di recuperare il gap rispetto ad altri Paesi europei, dove le startup innovative si contano in decine di migliaia. Nei mesi scorsi è stato presentato anche un emendamento alla Legge di Bilancio 2018 che prevedeva l’obbligo di destinare il 3% dei fondi Pir (veicoli d’investimento che prevedono la detassazione degli eventuali guadagni a patto di dedicare almeno il 21% del portafogli a strumenti finanziari emessi da Pmi italiane) ai venture capital che investe in startup e Pmi innovative, ma la proposta non ha superato l’esame del Parlamento. Che il terreno da recuperare sia ancora rilevante è evidente anche dalla lettura dell’ultima Relazione Annuale presentata dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda al Parlamento sullo stato di attuazione e l’impatto della policy sulle startup e le Pmi innovative. In particolare, lo studio sottolinea la carenza di investitori nelle primissime fasi di sviluppo delle imprese. Nel corso del 2016 i venture capitalist hanno investito in 92 società, tra seed (quando cioè il prodotto/servizio è ancora in fase concettuale o di prototipo) e startup, per un totale di 181,4 milioni di euro. Entrambi i dati sono in crescita rispetto al 2015, ma restano su valori assoluti del tutto insufficienti a sostenere la creazione di un ecosistema adeguato alle necessità del Paese, considerato che per loro natura le aziende appena nate hanno un elevato livello di mortalità, né possono avere nella relazione con le banche la medesima credibilità di realtà già strutturate e che hanno alle spalle una storia di successo. Di positivo, segnala l’Osservatorio Startup Hi-tech realizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano, c’è che nel 2018 è cresciuta la fiducia degli investitori esteri ( 163% rispetto al 2016), i cui finanziamenti rappresentano il 36% dei fondi a disposizione delle nuove aziende tecnologiche italiane. Necessita di un ulteriore sviluppo anche il settore degli incubatori universitari. La rete Pni Cube ha censito l’esistenza a fine dicembre la presenza di 40 realtà di questó tipo presso gli atenei italiani, un dato in costante crescita negli anni. Ma dallo studio emergono anche le difficoltà di questo settore, che riguardano in primo luogo l’approdo sul mercato e la competitività di sistema. Infatti il 58% delle startup esaminate presenta prodotti o servizi ancora prototipali e solo il 3,1% è già attiva sul mercato. Un team di lavoro su quattro afferma di non riuscire a trovare sul mercato le figure tecniche di cui ha bisogno e il 61,5% è a caccia di profili di business e commerciali. Tutti segnali che evidenziano come molto resti ancora da fare. Di certo c’è che le energie all’interno del Paese non mancano, così come la creatività, tratto caratteristico dell’imprenditorialità italiana. A lanciare le nuove aziende nei settori innovativi non sono solo giovani alle prime armi nel mondo del lavoro, ma sempre più spesso anche lavoratori con una lunga esperienza alle spalle, che a un certo punto sono spinti – dall’ambizione persone o perché hanno perso la vecchia occupazione – a reinventarsi. Terreno fertile per recuperare in fretta il ritardo.

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