Irpef del professionista, l’alto reddito non conta

L’inserimento in una struttura riferibile ad altrui responsabilità ed interesse e l’impiego minimo di beni strumentali senza avvalersi di lavoro altrui sono indici di mancanza del presupposto di autonoma organizzazione, indispensabile per poter essere assoggettato ad Irap. Così ha ribadito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 7602 del 28/03/2018. Evidenziano i giudici di legittimità che, nel caso di specie, il fatto che il professionista fosse inserito all’interno dello studio dello zio, che gli aveva offerto in comodato la stanza nella quale esercitare l’attività, e che fosse inesistente un secondo studio, ove esisteva invece un mero recapito presso il proprio cliente principale, contraddiceva la conclusione della Ctr, secondo la quale il contribuente, dottore commercialista, nel godere di un consistente reddito da lavoro autonomo, aveva potuto usufruire di più che validi ausili deducibili dallo svolgimento della professione in uno studio con più professionisti ed in località distinte (Mantova e Gonzaga), indici questi di una produttività supportata da valide risorse organizzative. La Suprema corte rileva come il riferimento alla «consistenza» del reddito fosse di per sé irrilevante ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione. La ratio della sentenza, secondo cui, in sostanza, l’ammontare del reddito dichiarato faceva presumere l’autonoma organizzazione, non era conforme all’orientamento della Corte in materia, secondo cui il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga, in modo non occasionale, di lavoro altrui (laddove il lavoro altrui ecceda l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive). La sentenza era dunque incorsa in errori di fatto sui suddetti requisiti e in errore di diritto nell’assegnare rilevanza all’entità del reddito, che, ai fini dell’imposta in esame, costituisce invece un dato «neutro».

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