Le sfide della non autosufficienza, una priorità assoluta per il Paese

L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno dalle dimensioni ormai largamente riconosciute anche in Italia: il nostro Paese è tra i più longevi al mondo, con una speranza di vita residua a 65 anni più elevata di un anno per entrambi i generi rispetto alla media UE (19,1 anni per gli uomini e 22,4 per le donne). Secondo recenti stime Istat, nei prossimi 20 anni la quota di persone over65 supererà il 29% (con un aumento di quasi 8 punti percentuali rispetto al 2016) e quella degli over 85 oltre il 5%: il tutto mentre si consuma, da dieci anni a questa parte, un significativo aumento dell’incidenza di patologie croniche o altri problemi di salute tra gli ultrasettantacinquenni. 

La pressione generata dall’invecchiamento della popolazione e le sue ricadute socio-economiche fanno della non autosufficienza uno dei temi “caldi” del dibattito sulla riorganizzazione dei sistemi di welfare, come ben evidenziato dal Quaderno di Approfondimento “Le sfide della non autosufficienza” che, a ideale conclusione del Tavolo di Lavoro promosso dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali con il supporto scientifico di Assoprevidenza, porta all’attenzione un sentiment comune tra tutti gli operatori del settore, la necessità di porre la non autosufficienza come priorità assoluta del Paese. 

Presupposto fondamentale posto alla base del dibattito è infatti l’idea che, malgrado i continui allarmi demografici ed economici, l’Italia sia ancora largamente impreparata ad affrontare questa sfida, anche per ragioni di tipo culturale. Un ritardo evidente, quello italiano nel predisporre una copertura di tipo universalistico, con costi accessibili e servizi di assistenza capillari e qualificati, attribuibile anche alla mancanza di consapevolezza dei cittadini che, se per il 40% neppure conoscono le prestazioni pensionistiche integrative e per il 70% non intendono provvedere alla previdenza complementare, alla non autosufficienza non sembrano proprio pensare, limitandosi quindi ad affrontare il problema solo nel momento in cui ne sono direttamente toccati. 

Eppure, i cittadini italiani già spendono 9,2 miliardi di euro per fronteggiare la non autosufficienza: una cifra, verosimilmente sottostimata in quanto in larga parte imputabile a badanti (spesso irregolari), che va ad aggiungersi ai 31,2 miliardi di euro di spesa già sostenuta dallo Stato. E le previsioni non sono ovviamente rosee per il futuro: nei prossimi 30 anni, la spesa pubblica per la non autosufficienza passerà dall’attuale 1,9% a oltre il 3% del PIL.

Se è vero che le famiglie svolgono quindi giù un gran lavoro, lo è altrettanto che non possono però essere lasciate a loro stesse per mancanza di orientamento e aiuto da parte del welfare pubblico. Occorre quindi agire su educazione prevenzione, oltre che con interventi mirati, in ambito legislativo e fiscale, in materia. Considerata però anche la delicata situazione del bilancio pubblico, con quali strumenti cogliere la sfida?In assenza di risposte univoche, due gli aspetti su cui si concentra in particolar modo la pubblicazione: innanzitutto, la riflessione sull’obbligatorietà (o meno) dell’adesione a forme di protezione dal rischio di non autosufficienza, particolarmente rilevante in Italia dove la stipula di polizze assicurative per cure a lungo termine è appunto ancora scarsamente diffusa e, in secondo luogo, le modalità di presa in carico del soggetto non autosufficiente e, quindi, i livelli di servizi integrati da offrire anche in virtù del pressante tema del finanziamento.

Prima ancora di dibattere tra fautori dell’una o dell’altra soluzione, e al di là delle delicate scelte da affrontare, il Quaderno evidenzia tuttavia un’importante convergenza sulla necessità di introdurre formule LTC, ancora più importanti alla luce di fenomeni sociali come l’atomizzazione dei nuclei familiari. In realtà, i segnali positivi in questa direzione non mancano e arrivano in particolare dal confronto tra le tariffe relative all’adesione di tipo collettivo o individuale a una polizza long term care: oltre a garantire costi inferiori, una soluzione di tipo collettivo «costituirebbe un’opzione di grande valenza sociale, poiché garantirebbe una copertura a prezzi accessibili, e dunque democratica, vale a dire non discriminante rispetto alle capacità economiche dell’iscritto e rispetto ai diversi “profili di rischio” del soggetto assicurato all’interno della platea di riferimento. Con l’effetto di garantire automaticamente copertura anche a quanti ne hanno più bisogno.

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