Una sanzione di 30 euro per chi vende beni e servizi senza dotarsi del Pos, riducibile a un terzo in caso di versamento tempestivo, ma da applicare tante volte quanti sono i pagamenti elettronici richiesti dai clienti e rifiutati. La soluzione, messa a punto dal ministero dello sviluppo economico nel tentativo di dare incisività all’obbligo di accettare pagamenti con carte di debito e credito introdotto dal governo Monti nel 2012, non passa però il vaglio del Consiglio di stato, che ipotizza un contrasto con il principio costituzionale secondo cui nessuna prestazione economica può essere imposta se non in base alla legge. E’ questa l’interpretazione fornita dai giudici di palazzo Spada con il parere n. 1104/2018 dello scorso 23 aprile, che ha sospeso il giudizio sullo schema di dm messo a punto dal Mise, chiedendo al ministero maggiori approfondimenti. L’obbligo di Pos, introdotto dal dl n. 179/2012 con la finalità di contrastare l’evasione fiscale e il riciclaggio, si è rivelato fin da subito piuttosto controverso per i professionisti. Nel mirino delle categorie sono finiti soprattutto i maggiori costi che avrebbero dovuto sopportare gli studi tra installazione del Pos, canone di gestione e commissioni sulle transazioni. L’assenza di una sanzione amministrativa fissata dalla legge per i soggetti inadempienti ha fatto sì che in pochissimi, allo scattare dell’obbligo, si sono adeguati alla normativa. «Tale carenza ha determinato, finora, la mancata applicazione dello specifico obbligo vanificando, di fatto, la previsione legislativa», rileva lo stesso Consiglio di stato. Con la circolare n. 10-C-2014, peraltro, il Consiglio nazionale forense ha sì riconosciuto l’obbligatorietà per i professionisti di accettare i pagamenti elettronici laddove il cliente fosse stato intenzionato, ma dall’altro ha individuato come unica conseguenza dell’assenza di Pos «la fattispecie della mora del creditore, che come noto non libera il debitore dall’obbligazione», confermando quindi l’assenza di sanzioni. La legge di stabilità 2016 ha modificato la normativa, rinviando a un altro decreto del Mise la disciplina in materia di modalità, termini e importo delle sanzioni. Senza indicare però, si legge nel parere, «criteri e limiti specifici quali importo minimo massimo, indicazione dell’autorità competente a irrogare la sanzione, procedure applicabili». Tale circostanza è rilevata nella relazione di accompagnamento dallo stesso ministero. Il quale, piuttosto che introdurre con un regolamento secondario nuove sanzioni (passibili di incostituzionalità), ha ritenuto «di fare riferimento a quanto disposto dall’ordinamento nazionale vigente e nello specifico dall’articolo 693 del codice penale». La soluzione proposta è quindi quella di assimilare chi non installa il Pos a chi si rifiuta di accettare denaro contante in corso di validità. Condotta punita appunto con una sanzione di 30 euro. Il tentativo del Mise di schivare i dubbi di costituzionalità, «pur certamente apprezzabili», a giudizio dei magistrati amministrativi non risolvono però la carenza della legge primaria. «L’obiettivo di un’efficace lotta al riciclaggio, all’evasione e all’elusione fiscale», recita il parere redatto dal consigliere Saverio Capolupo, «deve necessariamente essere conseguito con l’adozione di provvedimenti rispettosi, sotto l’aspetto formale e sostanziale, dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridicoo. L’attuale articolo 15, comma 4 del dl n. 179/2012, invece, «non è rispettoso del principio costituzionale della riserva di legge in quanto carente di qualsiasi criterio direttivo, sostanziale e procedurale». Anche l’individuazione per analogia di una sanzione già esistente (invece che l’introduzione di una nuova) «configura una precisa e insuperabile violazione del principio della riserva di legge». In conclusione, la sezione consultiva per gli atti normativi richiede al Mise una relazione aggiuntiva che individui «le soluzioni ritenute possibili per superare gli evidenziati profili di incostituzionalità della legge delega».
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