L’antiriciclaggio limita la privacy

I dati acquisiti e archiviati dai soggetti tenuti all’adeguata verifica ai fini antiriciclaggio prevalgono su diritto alla privacy e all’oblio. Dal 25 maggio 2018 è divenuto pienamente applicabile nel nostro ordinamento il regolamento Ue 679/2016 in materia di privacy che, oltre ad aggiornare l’elenco dei diritti degli interessati, ne assicura una tutela rafforzata. È importante, però, definire l’esatto ambito di applicazione di questa tutela, perché in nessun caso le esigenze di protezione dei dati personali possono prevalere sull’interesse alla sicurezza pubblica e alle attività di prevenzione dei reati. Lo stesso regolamento europeo accorda agli Stati membri la facoltà di adottare disposizioni legislative intese a limitare determinati obblighi e diritti, qualora questa limitazione costituisca una misura necessaria e proporzionata per la salvaguardia di importanti interessi specifici, compresa la sicurezza pubblica e le attività di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o l’esecuzione di sanzioni penali. Per stessa constatazione del legislatore europeo, ciò riveste particolare importanza proprio nel quadro della normativa antiriciclaggio (si veda il Considerando 19 del regolamento). Questa normativa pone a carico dei soggetti obbligati una serie di adempimenti (come quelli di adeguata verifica della clientela) che postulano il compimento di alcune attività tra le quali è compresa l’identificazione del cliente e la verifica della sua identità attraverso riscontro di un documento d’identità odi altro documento di riconoscimento equipollente nonché sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente. Inoltre, i soggetti obbligati in base alla normativa antiriciclaggio devono conservare i dati e le informazioni acquisite per un periodo di dieci anni dalla cessazione del rapporto continuativo, dalla prestazione professionale o dall’esecuzione dell’operazione occasionale. L’adempimento di questi obblighi evidentemente interferisce con alcuni dei diritti riconosciuti all’interessato dalla normativa sulla privacy, come il diritto alla cancellazione dei dati anche nella forma rafforzata del «diritto all’oblio» e il diritto di revocare il consenso al trattamento dei dati. A tale riguardo, il nostro legislatore, nell’ambito dello schema di decreto legislativo che disciplina l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento Ue, attualmente in attesa di parere parlamentare, facendo seguito alla facoltà accordata dalla stessa normativa europea, ha previsto precise limitazioni ai diritti dell’interessato, stabilendo che tali diritti non possono essere esercitati qualora dal loro esercizio possa derivare un pregiudizio effettivo e concreto, tra gli altri, anche agli interessi tutelati in base alle deposizioni in materia di riciclaggio. Occorre osservare, che il legislatore nazionale non si è avvalso della possibilità, pure accordata dal regolamento, di limitare anche i diritti concernenti le comunicazioni e l’informativa nonché il diritto dell’interessato ad ottenere comunicazione di una violazione dei dati personali, il cosiddetto «data breach». La norma ripropone la previsione di cui all’articolo 8 del Codice della privacy, destinato ad essere abrogato dal decreto in arrivo che, nell’attuale formulazione, prevede per l’appunto l’impossibilità di esercitare i diritti riconosciuti all’interessato dalla normativa privacy se il trattamento dei dati personali è effettuato in base alle disposizioni in materia di riciclaggio. Inoltre, lo schema di decreto consente il trattamento di dati personali relativi a condanne penali e a reati o a connesse misure di sicurezza, se autorizzato da una norma di legge o nei casi previsti dalla legge, riguardanti anche l’adempimento degli obblighi previsti dalle normative vigenti in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.

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