Startup, i fondi ci riprovano

Abbiamo aspettato tanto. Ma forse il momento è finalmente arrivato: la seconda metà del 2018 potrebbe portare una svolta concreta dopo un triennio decisamente deludente per il panorama del capitale di ventura italiano. Sarà per il portato del naturale ciclo degli investimenti — l’esaurirsi delle vecchie linee nel 2017 e il lancio del Jundraising di nuovi, più ampi veicoli —, è un fatto però che il primo quarto del 2018 sia partito con il piede giusto per chi si occupa di sostenere la crescita delle startup made in Italy ad alto tasso d’innovazione. È il caso della società milanese di gestione del risparmio P101, che ha appena annunciato il lancio del suo secondo veicolo d’investimento, il fondo “Programma 102”, con l’obiettivo di raccogliere 120 milioni e arrivare così a un totale di 200 milioni di masse gestite. Al primo closing di 65 milioni hanno contribuito Azimut (già protagonista del primo veicolo da 80 milioni lanciato nel 2013), Fondazione Sardegna, una manciata di business angeìs e family offices italiani e, ovviamente, il tandem formato da Fondo europeo per gli Investimenti e Fondo italiano d’investimento. Investitori istituzionali, questi ultimi, che finora hanno sostenuto il grosso del capitale di rischio destinato a finanziare le nuove proposte imprenditoriali del Paese. Non è un mistero, in effetti, che buona parte dei 137 milioni di euro raccolti nel corso del 2017 (178 nel 2016 per un totale di nemmeno mezzo miliardo nel triennio 2015-17) abbia a che fare con la finanza di Stato. A cominciare da Cdp e Fei, che hanno lanciato nel dicembre 2016 Itatech, una piattaforma per il trasferimento tecnologico dotata di una potenza di fuoco di 200 milioni e che per il momento ha realizzato due operazioni d’investimento, la prima nel fondo napoletano Vertis (50 milioni), la seconda nella firma francese specializzata nel biotech Soflnnova (50 milioni). E il segnale di un rinnovato interesse dei privati arriva an zitutto dall’estero e in particolare da Parigi, dove Sofinnova alla fine di aprile ha individuato il suo primo target d’investimento italiano nella biotech marchigiana EryDel che beneficerà di una linea da 26,5 milioni, e da dove Anderà Partners (la ex Edmond de Rothschild) ha puntato 20 milioni sulla pisana Medicai Microinstruments. Round d’investimento, questi ultimi, dai volumi finora inediti ai nostri paralleli. Ma se l’estero toma a guardare con interesse a cosa avviene in Italia, anche gli operatori nostrani incominciano a sperimentare percorsi di internazionalizzazione. Come sta facendo la torinese Innogest, che a breve lancerà due nuovi fondi, uno dedicato al mondo del digitale, l’altro all’hcaithcare (fecalizzato sul terapeutico cardiovascolare) con un investimento attorno agli 85 milioni di euro: lo scouting di nuove startup è già iniziato e riguarderà, oltre all’Italia, anche Francia, Germania, Uk e Stati Uniti. Tutta nuova, infine, l’avventura di Indaco Ventures: espressione di Fondazione Cariplo, Enasarco e Intesa Sanpaolo, la Sgr ha già raccolto 130 milioni (anche qui, c’è l’intervento del Fondo italiano d’Investimento) ma l’obiettivo è di arrivare ai 200 entro fine anno, investendone almeno 30 nel late stage di robotica, medtech e nuovi materiali. Fatti due conti, il cambio di marcia necessario a recuperare sui competitor europei appare a portata di mano.

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