Ora l’elusione viaggia online

Dai pagamenti non dichiarati e incassati sui conti PayPal a quelli in criptovaluta, dai coupon riscattati senza emettere scontrino fiscale alla sharing economy. Le fattispecie elusive che l’amministrazione finanziaria si trova a dover contrastare si moltiplicano, rendendo le normative e gli strumenti di indagine tradizionali sempre più obsoleti. Protagoniste dell’evasione nel settore dell’economia digitale non solo le grandi multinazionali del web, le cosiddette «over the top», alle quali comunque fa capo la maggior parte del gettito mancante. A sfuggire alle tasse attraverso il web sono anche operatori economici che vendono beni o servizi attraverso la rete, ossia il luogo che (mancando il contante) dovrebbe garantire la più piena tracciabilità delle transazioni, realizzando invece le operazioni praticamente «in nero». E’ quanto evidenzia la Corte dei conti nella relazione «L’e-commerce e il sistema fiscale», predisposta dalla sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello stato. I giudici contabili rilevano per esempio «che il commercio elettronico si caratterizza per l’ampio ricorso a strumenti di pagamento alternativi», quali PayPal o altri circuiti di pagamenti internazionali sviluppatisi grazie all’e-commerce. Chiunque, privato o azienda, vende beni o servizi in rete, magari in grande quantità, può farsi accreditare i corrispettivi su tali rapporti, senza che il fisco italiano ne abbia contezza. «Trattandosi di una banca estera (americana con sede, per l’Europa, in Lussemburgo), in capo a PayPal non sussistono gli obblighi posti a carico degli operatori finanziari residenti», osserva la Corte, «in merito alla comunicazione delle informazioni sui saldi e sulle movimentazioni dei rapporti attivi». Ne consegue una «maggiore difficoltà» per l’Agenzia delle entrate nell’individuare le situazioni a maggior rischio di evasione, «laddove le somme depositate sui conti PayPal non siano successivamente riversate su un conto corrente italiano». Resta ferma la possibilità per i verificatori di attivare i canali di cooperazione internazionale, ma i tempi si dilatano e la complessità dell’indagine aumenta. Ancora più difficili da intercettare sono le operazioni regolate tramite criptovalute, in particolare bitcoin, «sempre più accettati volontariamente come mezzo di pagamento a fronte della fornitura di beni e servizi». L’utilizzo delle monete virtuali, precisa la relazione, «pone molteplici problematiche, non solo di natura fiscale: anonimato dei titolari dei portafogli, impossibilità di risalire ai soggetti che operano l’intermediazione, impossibilità di associare le transazioni a utenti rintracciabili». Un ulteriore percorso di indagine segnalato alla Corte conti dalle Entrate riguarda poi i siti di social shopping, attraverso i quali commercianti, artigiani, ristoratori e altri operatori economici mettono in vendita per un limitato periodo di tempo prodotti e servizi a prezzo ridotto, che possono essere acquistati dagli utenti iscritti al sito (la relazione cita Groupon, Groupalia e Letsbonus). In questi casi la cessione dei voucher effettuata dall’intermediario all’utente è fuori campo Iva, in quanto equiparata a movimentazione di denaro. E quindi il partner commerciale (ossia colui che effettua la cessione o presta il servizio) a dover certificare fiscalmente l’operazione emettendo regolare scontrino o fattura con Iva, a prescindere dalle modalità di pagamento. Ma poiché il prezzo è stato pagato in anticipo attraverso il sito, «l’assenza di un incasso in contanti o di una transazione elettronica può costituire il presupposto del rischio che il partner che riceve il coupon non emetta il dovuto documento fiscale», chiosa la magistratura contabile, «con conseguente sottrazione di base imponibile ai fini Iva e occultamento di ricavi o compensi ai fini delle imposte dirette». A tale proposito, lo svolgimento di una verifica nei confronti di una delle principali società di social shopping per gli anni 2010 e 2011 ha consentito all’Agenzia delle entrate di realizzare un’apposita procedura informatica per individuare i partner commerciali da sottoporre prioritariamente a controllo. Uno specifico indice di rischio riguarda il rapporto tra l’importo totale dei coupon riscattati e il fatturato dichiarato dai partner. In generale «quanto più questo indice è elevato tanto più il soggetto è a rischio di evasione/elusione», conclude la Corte.

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