Non ammissibile la cartella se l’errore è stato corretto

Non c’è danno all’erario se il contribuente, dopo aver ricevuto l’avviso bonario per aver indicato erroneamente il credito a rimborso in dichiarazione ma precedentemente compensato, presenta autotutela all’ufficio consentendo così di emendare l’errore e di annullare la pretesa avanzata dall’Agenzia. A fornire questa precisazione è la Corte di cassazione con l’ordinanza 14859 depositata ieri. L’agenzia delle Entrate notificava un avviso bonario ad una società con il quale richiedeva la restituzione di un credito Iva perché utilizzato in compensazione e parallelamente richiesto anche a rimborso. In conseguenza della lettera, la società presentava un’istanza con la quale rinunciava alla richiesta di rimborso e contestualmente richiedeva l’annullamento integrale della pretesa. In proposito evidenziava, infatti, che il rimborso non era stato erogato e pertanto la rinuncia consentiva di non duplicare l’utilizzo del citato credito Iva. L’ufficio, disattendendo l’istanza della contribuente, notificava la cartella di pagamento che veniva impugnata dinanzi al giudice tributario. Entrambi i collegi di merito annullavano la pretesa, confermando le ragioni della società. L’Agenzia ricorreva così in Cassazione lamentando che la Ctr aveva omesso di considerare che se l’ufficio avesse erogato il rimborso, la condotta del contribuente avrebbe cagionato un danno all’erario. La Suprema corte ha preliminarmente rilevato che sono emendabili solo gli errori commessi dai contribuenti in dichiarazione e non le “scelte” operate, atteso che rappresentano una precisa manifestazione di volontà. In simili ipotesi, tuttavia, il contribuente può contestare l’atto impositivo eventualmente notificato, dimostrando il vizio della volontà, ossia fornendo la prova della rilevanza dell’errore commesso e la riconoscibilità dello stesso da parte dell’amministrazione finanziaria. La Cassazione ha ritenuto che la Ctr nella propria decisione non avesse disatteso tali principi. Innanzitutto, il collegio di appello rilevava che la società non aveva presentato il modello VR per ottenere concretamente il rimborso. In proposito, peraltro, la stessa Agenzia con la circolare 12/2010 aveva espressamente riconosciuto che in assenza di tale modello il credito Iva indicato nella dichiarazione annuale si intende imputato in detrazione e/o in compensazione. Inoltre, i giudici di legittimità, condividendo la decisione di secondo grado, hanno dato particolare rilievo all’istanza presentata dalla società dopo la ricezione dell’avviso bonario. Con tale atto, infatti, la contribuente aveva esternato tempestivamente la volontà di non attivarsi per ottenere il rimborso, escludendo così qualunque intento evasivo o elusivo finalizzato alla duplicazione del diritto di credito. La decisione è particolarmente importante perché sottolinea la rilevanza di simili istanze nella difesa del contribuente. Possono, infatti, dimostrare all’amministrazione eventuali errori (e come tali involontari) commessi dal contribuente, senza che a ciò debba necessariamente conseguire un aggravio di oneri, pur in assenza di danni concreti per l’erario. Alla luce della condivisibile interpretazione della Cassazione è auspicabile che anche gli Uffici inizino a considerare le “risposte” dei contribuenti agli avvisi bonari.

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