Il 2016 è stato un anno di ripresa per le partite Iva. In particolare per i professionisti, che hanno visto i redditi medi salire a quota 47.780 euro annui, con una crescita di quasi l’8% rispetto all’anno precedente. Valori ancora inferiori all’era pre crisi, ma comunque i piĂą elevati dal 2011. Aumentano i redditi di commercialisti (51.300 euro), avvocati (44.200 euro) e notai (253.800 euro), con tassi di crescita che vanno al 5% al 15%. Segno piĂą anche per le attivitĂ manifatturiere, che con 40.460 fanno segnare un +8,1% sul 2015, e nel settore dei servizi (28.620 euro, +4%), mentre il reddito medio piĂą basso appartiene al commercio (23.680 euro, +5,2%). E quanto emerge dalle statistiche pubblicate ieri dal Dipartimento delle finanze, relative agli studi di settore, alle dichiarazioni delle persone fisiche e alle dichiarazioni Iva trasmesse dai contribuenti nel 2017. Studi di settore. Nel 2016 le partite Iva che hanno applicato il meccanismo degli studi di settore sono state circa 3,2 milioni. Il 62% della platea è composto da persone fisiche. Nel complesso il numero dei contribuenti è inferiore del 5% rispetto al 2015, ma ciò è giustificato dall’aumento dei soggetti che hanno aderito al regime forfettario (che non prevede l’utilizzo di Gerico). Il fatturato totale per l’anno 2016 supera i 723 miliardi di euro (+0,7%) e il reddito si attesta a 107 miliardi. Le persone fisiche hanno dichiarato in media 30.360 euro (+6,2%), le societĂ di persone 41.820 euro (+3,7%) e le societĂ di capitali 33.240 euro (+3,9%). In un anno che ha visto il Pil salire dell’1,7% in termini nominali e dello 0,9% in termini reali, le statistiche del Df sembrano evidenziare un 2016 particolarmente roseo per gli operatori economici. Tuttavia, precisa il Mef, gli incrementi generalizzati dei redditi scontano anche un effetto «inflazione» dovuto alla migrazione dei soggetti nel regime forfetario: chi è fuoriuscito dagli studi di settore, infatti, «dichiara normalmente redditi bassi e ciò si riflette su un aumento del reddito medio dichiarato», osservano le Finanze. Le statistiche esaminano pure la correlazione tra i redditi dichiarati e la percentuale di congruitĂ dei contribuenti. Le differenze sono notevoli. Coloro che hanno indicato ricavi o compensi uguali o superiori a quelli stimati dagli studi di settore presentano un reddito medio di 50.900 euro. Tra i soggetti non congrui il reddito medio è invece di 6.070 euro. Redditi prevalenti. Con i dati di ieri il Df ha arricchito l’analisi delle dichiarazioni delle persone fisiche giĂ presentata lo scorso mese di marzo. Su 40,9 milioni di dichiaranti, oltre 1’83% ottiene la maggior parte delle proprie entrate da stipendio o pensione. Solo il 4,9% dei contribuenti ha un reddito prevalente derivante dall’esercizio di attivitĂ d’impresa o di lavoro autonomo, in linea con il 2015. La percentuale di coloro che detengono in prevalenza redditi immobiliari è invece pari al 4,3%. Tra i dipendenti il reddito medio è di 21.690 euro, ma il valore differisce sensibilmente in base alla natura del datore di lavoro: se chi è impiegato presso una persona fisica ha dichiarato in media 10.040 euro, il valore sale a 14.180 euro per i dipendenti di societĂ di persone, a 21.050 euro per gli impiegati della p.a. e a 23.720 per chi opera nelle societĂ di capitali. Dichiarazioni Iva. Così come per gli studi di settore, nel 2016 si è ridotta del 4,5% la platea dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione Iva. Il motivo risiede nella transizione di molte partite Iva nel regime forfetario, le cui soglie di accesso sono state elevate dalla legge di bilancio 2016. I 4,9 milioni di contribuenti hanno registrato un volume d’affari complessivo di 3.276 miliardi di euro e operazioni imponibili per 2.086 miliardi (+1,09% rispetto al 2015). L’Iva di competenza, ossia la differenza tra l’imposta a debito e quella detraibile, supera i 93 miliardi tdi euro (+4,2%), mentre i rimborsi Iva annuali richiesti sono stati pari a 6,8 miliardi (+1%) e quelli infra annuali utilizzati 3,8 miliardi (+18,3%). Nel 2016 sono stati 334 mila i soggetti che hanno effettuato operazioni verso enti pubblici e quindi soggetti a split payment, per un ammontare di 82,9 miliardi di euro di Iva versati all’erario direttamente dalle p.a.
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