Abusiva la consulenza tributaria e aziendale senza abilitazione

Esercizio abusivo della professione di commercialista per il titolare di una societĂ  che svolge consulenza aziendale e tributaria senza abilitazione. La Cassazione (sentenza 33464/2018) respinge il ricorso contro la condanna a un mese di reclusione e al risarcimento danni in favore dell’Ordine dei commercialisti, parte civile nel processo a carico del “capo” di una Srl che esercitava abusivamente prestazioni per le quali era richiesta l’iscrizione all’albo. La Suprema corte respinge tutte le obiezioni della difesa. Per l’imputato, la Corte d’appello ha illegittimamente sottratto la generica attivitĂ  di consulenza tributaria e aziendale al raggio d’azione della legge 4/2013 che ha liberalizzato le professioni senza albo. Il criterio da individuare, per la regolamentazione dello svolgimento dell’attivitĂ , era dunque quello della libertĂ  di iniziativa economica, tutelata dall’articolo 41 della Costituzione, rispetto alla quale, sempre ad avviso del ricorrente, si doveva leggere la disciplina contenuta nell’articolo 33, quinto comma della Carta costituzionale, nella parte in cui subordina l’esercizio della professione al conseguimento dell’abilitazione. Un’ipotesi limitata soltanto alle professioni per le quali la legge prescrive l’iscrizione ad Albi a tutela della clientela. L’attivitĂ  contestata sarebbe invece rientrata tra quelle liberamente esercitabili, in linea con la legge 4/2013. L’imputato sottolinea anche di aver informato i suoi clienti di essere privo di abilitazione e di agire in virtĂč di un’esperienza maturata con gli anni, evitando cosĂŹ di violare l’affidamento dei terzi come interpretato dalle Sezioni unite con la sentenza 11545/2012. Per finire, a riprova della buona fede, c’era l’autorizzazione a operare nel servizio telematico dell’agenzia delle Entrate. Tesi tutte respinte dalla Cassazione, che basa il suo verdetto proprio sui principi affermati dalle Sezioni unite nel 2012. Correttamente la Corte d’appello, per sostenere la rilevanza penale delle condotte contestate, ha analizzato i meccanismi con i quali lavorava la ditta. La Srl, priva di dipendenti e riconducile all’imputato, si relazionava direttamente coni clienti finali e nel suo centro studi aziendali non c’erano lavoratori abilitati. I giudici ricordano che l’abuso scatta in presenza di una pluralitĂ  di atti che, pur non riservati in esclusiva alla competenza specifica di una professione, «nel loro continuo coordinato ed oneroso riproporsi ingenerano una situazione di appartenenza evocativa dell’attivitĂ  professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela». In questo quadro Ăš dunque ininfluente la pretesa, e non provata, avvertenza data ai clienti. La Corte territoriale ha correttamente compreso le attivitĂ  svolte dal ricorrente tra quelle tipiche in base al Dlgs 139/2005, sulla «costituzione dell’ordine dei dottori commercialisti» riserva a questi ultimi. Anche se per la Cassazione non c’Ăš, nello specifico, differenza tra tipiche e riservate. Lo stesso vale per le norme sull’ordinamento dei consulenti del lavoro dettate dalla legge 12/1979.

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