Integrativa esclusa per chi ha omesso la dichiarazione

Il decreto fiscale prevede l’istituzione di una dichiarazione integrativa speciale. Trattandosi di una dichiarazione integrativa, occorre che la dichiarazione originaria sia stata validamente presentata. In sostanza, chi ha omesso la dichiarazione non può accedere all’integrazione. L’integrazione spedale riguarda – per ora – le dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2017; quindi si tratta di quelle riferite ai periodi d’imposta fino al 2016 (per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare). La norma fa riferimento alle dichiarazioni presentate ai fini: • delle imposte sui redditi e relative addizionali; • delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi ; • delle ritenute e contributi previdenziali; • dell’Irap; • dell’Iva. È come se si trattasse di cinque comparti impositivi, e questo riveste la sua importanza per quel che si dirà a breve. Viene infatti stabilito che l’integrazione degli imponibili è ammessa «nel limite di 100mila euro di imponibile annuo, ai fini delle imposte di cui al precedente periodo e comunque di non oltre il 3o per cento di quanto dichiarato». In sostanza, da questa previsione si deduce che l’integrazione è consentita, per le “imposte” di cui al periodo precedente, fino al minore tra i due parametri (100 mila euro – 30% di quanto dichiarato). Poi la norma aggiunge «resta fermo il limite complessivo di 100mila euro di imponibile annuo per cui è possibile l’integrazione». Questo limite rappresenta una sorta di plafond massimo. Nella relazione illustrativa del provvedimento viene infatti rilevato che poiché i comparti impositivi comprendono anche ritenute e contributi, il primo limite di 100mila euro si riferisce alle sole imposte, mentre il secondo, comprensivo anche di ritenute e contributi, consiste in una soglia di sbarramento complessivo. A questo occorre aggiungere che la norma poi stabilisce che per chi ha dichiarato originariamente un imponibile inferiore a 100mila euro o ha dichiarato perdite, l’integrazione è ammessa fino a 30mila euro. Si tratta, però, di una norma inutilmente complicata che avrà bisogno di una serie di aggiustamenti. Si pensi, ad esempio, al fatto che per l’Iva può risultare un vero dilemma capire qual è 1130% di quanto dichiarato perché la dichiarazione Iva è essenzialmente un riepilogo delle operazioni attive e passive effettuate nel corso dell’anno solare. La norma prevede poi che sul maggiore imponibile integrato si applica un’imposta sostitutiva dello% da riferirsi al maggiore imponibile Irpef o Ires. L’imposta sostitutiva contempla – specifica la norma – le imposte sui redditi e relative addizionali, le imposte sostitutive delle imposte sui redditi, i contributi previdenziali e l’Irap. Per l’Iva la norma stabilisce che si applica l’aliquota media, così come accadeva con altri provvedimenti “condonistici” (articolo 7 della legge 289/2002); soltanto quando non è possibile applicare l’aliquota media, viene previsto che si applichi l’aliquota ordinaria. È come se l’Iva fosse una conseguenza di una definizione reddituale “di massa”. Invece non è cos”: il contribuente può integrare degli specifici elementi reddituali, i quali potrebbero risultare rilevanti ai fini Iva, come non. Detto in altri termini, il contribuente potrebbe avere necessità di regolarizzare dei maggiori imponibili reddituali che, invece, sono già stati assoggettati regolarmente a Iva, così come potrebbe avere esigenza di regolarizzare soltanto l’Iva. Oppure potrebbe trattarsi di componenti reddituali esenti o non imponibili da Iva. Che senso ha parlare di aliquota media? Il contribuente deve avere la possibilità di integrare specificatamente le singole omissioni.

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