Il baluardo delle professioni

Le professioni ordinistiche hanno retto anche di fronte alla più grave crisi economica affrontata dall’Italia da quando è un paese industriale o post industriale. Ne sono uscite un po’ malconce. Ma hanno retto e hanno contribuito alla tenuta di tutto il paese. E anche il fenomeno della disintermediazione che, sulle ali di internet, sta disgregando interi settori economici, non sembra rappresentare, per gli iscritti agli albi (salvo casi particolari) un pericolo mortale. E un quadro molto preciso quello che emerge da due distinte e approfondite ricerche presentate a pochi giorni di distanza l’una dall’altra sul mondo delle professioni ordinistiche. Il 6 novembre è stata resa pubblica l’indagine di Confprofessioni, un’articolata rielaborazione di dati provenienti in massima parte dall’Istat. Tre giorni dopo è stata la volta dell’inchiesta realizzata da Cresme e dal Cup (Comitato unitario delle professioni), frutto di una ricerca durata due anni. Due ricerche che, pur partendo da premesse metodologiche differenti, arrivano entrambe a descrivere un universo che, anche negli anni più bui, è comunque cresciuto: secondo i dati dell’osservatorio di Confprofessioni il settore è passato da 1 milione e 200 mila professionisti nel 2008 a 1 milione e 400 mila nel 2017. Una crescita quindi non impetuosa, ma comunque significativa per un settore che ha dovuto sopportare anche le difficoltà economiche dei propri clienti, imprese o pubblica amministrazione, che spesso si traducevano in un allungamento dei termini di pagamento o nella impossibilità di adeguare i compensi ai mutati contesti lavorativi. Eppure i professionisti si sono ritrovati spesso (qualche volta anche contro la propria volontà) protagonisti nel processo di innovazione del sistema-Paese, sostenendo in molti casi anche costi diretti. Commercialisti, notai, avvocati, consulenti del lavoro hanno partecipato in prima persona all’informatizzazione della Pubblica amministrazione; basti pensare alle radicali trasformazioni introdotte dalla gestione telematica delle pratiche fiscali e contributive e dalla digitalizzazione delle procedure in ambito giuridico, immobiliare e societario. Le professioni hanno fornito spunti critici, idee, esperienze, magari hanno polemizzato, ma poi si sono rimboccate le maniche e hanno adeguato le proprie strutture tecnologiche e le competenze dei propri studi alle sempre nuove richieste della pubblica amministrazione: Agenzia delle entrate, Inps e tribunali, in prima fila. Si stima, ad esempio, che l’Italia, a partire dal 2007, abbia risparmiato mediamente circa 2 miliardi di euro ogni anno in termini di costi dell’amministrazione finanziaria, costi che si sono riversati quasi integralmente sui professionisti che operano in qualità di intermediari fiscali. I professionisti sono oggi una realtà che produce 77 miliardi di pil e che dà lavoro a 3 milioni di persone. Ma certamente non sono più una casta: accanto a redditi più che dignitosi ci sono infatti ampie fasce di professionisti, soprattutto al Sud e soprattutto giovani, che non arrivano a mettere insieme il reddito di un lavoratore dipendente. Ci sono naturalmente forti differenze tra i diversi albi, ma in linea di massima i tempi d’oro sono finiti, per tutti. Non è un caso se una delle battaglie che negli ultimi anni ha unificato maggiormente le diverse categorie è stata quella dell’equo compenso. Che è semplicemente il diritto a ricevere una remunerazione dignitosa e adeguata alla quantità e qualità del lavoro prestato, in altri termini, a non lavorare gratis (come invece ancora pretenderebbero alcune amministrazioni comunali). Di fronte a un quadro così approfondito risultano non più sostenibili le posizioni unilaterali dell’Antitrust (che ha tentato fino all’ultimo di contrastare anche la norma sull’equo compenso) dietro le quali, più che un approccio di devozione assoluta al libero mercato, si sono sempre nascosti interessi ben precisi che con il libero mercato nulla hanno a che spartire. Oggi il clima politico è cambiato e certe posizioni discriminatorie nei confronti delle professioni sono diventate insostenibili. La prossima frontiera, probabilmente, sarà quella di riconoscere loro formalmente, ciascuna secondo modalità proprie, un ruolo di intermediazione tra i cittadini e la sempre più complessa macchina della pubblica amministrazione. I tempi sembrano maturi.

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