Investitori istituzionali, oltre al rendimento anche un ruolo sociale

Incertezza. Sembra essere questa la sensazione dominante riportata da giornali e talk show nell’ultimo periodo. Un’incertezza politica, economica e dei mercati finanziari, alle prese con la valutazione di cambiamenti più o meno pervasivi per l’economia globale. Aspettando il giudizio finale da parte della BCE sulla manovra di Bilancio, le cui conseguenze sembrano però essere già state scontate dagli investitori internazionali, i mercati riportano un generale fermento.

Gli strumenti a reddito fisso, soprattutto quelli governativi Usa, hanno visto per il 2018 un innalzamento dei tassi di interesse che, presumibilmente, proseguirà anche per il 2019, come già annunciato dalla FED. Con la fine dell’anno, anche in Europa, dovrebbero concludersi gli stimoli monetari messi in campo dalla BCE, anche se i tassi di riferimento dovrebbero rimanere sugli attuali livelli fino all’estate. Sul fronte equity, la discesa del corso delle azioni evidenziata in ottobre ha generato una consistente flessione sui listini globali e l’indice italiano FTSE MIB è stato zavorrato in particolar modo dal settore bancario, che ha risentito dell’altalena registrata dallo spread BTP-Bund. Anche i Paesi emergenti hanno evidenziato nel corso dell’anno performance negative, da ultimo condizionate dalla svalutazione delle valute locali risultate molto deboli nei confronti del dollaro americano. Tra gli analisti c’è però tuttora discordanza se sia già in atto o meno l’inversione del ciclo economico. Certo è che l’economia globale è in espansione ormai da qualche anno e un rallentamento generalizzato è più che fisiologico. Ma il progressivo rialzo dei tassi di interesse, che sui T-Bond si fa sempre più importante, ha davvero iniziato a drenare risorse verso il mercato obbligazionario a discapito di quello azionario? Per avere una risposta più chiara occorrerà attendere ancora qualche tempo e vedere come si muoveranno gli operatori sui mercati. Per adesso, è meglio rimanere aderenti alla condizione economica attuale e prendere decisioni di investimento adeguate.

Questa incertezza si riflette sulle scelte di investimento dei risparmiatori, ma ancor di più su quelle degli investitori istituzionali. Se, come visto, le tradizionali asset class presentano scenari in mutazione e dunque complicano la loro valutazione finanziaria, i portafogli tendono a virare verso esposizioni più liquide, meno rischiose e di conseguenza meno remunerative. Ecco allora che l’incerto scenario richiede in qualche modo di ricercare nei mercati alternativi nuove fonti di rendimento, che riescono spesso a migliorare il profilo di rischio rendimento dell’investitore. La ricerca di alpha è effettuata dunque anche servendosi di investimenti illiquidi che, molte volte, presentano ricadute dirette sull’economia reale, producendo un duplice ritorno: rendimento finanziario da una parte, sostegno al finanziamento del tessuto imprenditoriale nazionale dall’altro. Anche gli investitori istituzionali italiani dimostrano un crescente interesse al tema, anche per via delle sempre più diffuse iniziative di sensibilizzazione e confronto portate avanti su diversi fronti: il Tavolo di lavoro sull’investimento in economia reale realizzato da Itinerari Previdenziali in collaborazione con Borsa Italiana ne è una concreta testimonianza.

Fondi Pensione, Casse di Previdenza e Fondazioni di origine bancaria mostrano del resto, così come anche risparmiatori e consumatori, un sempre maggiore interesse verso strategie di investimento che applicano criteri di selezione sostenibili e attenti alle tematiche ESG. Se inoltre sono gli iscritti stessi che iniziano a chiedere conto di come e verso quali ambiti finanziari vengono investiti i propri contributi, evidentemente anche nei portafogli degli Enti iniziano a trovare sempre maggiore spazio strumenti di investimento sostenibili. Non sono però solo gli investitori ad avere un occhio di riguardo alla tutela dell’ambiente, a una governance virtuosa e alle possibili ricadute sociali positive. Anche per gli asset manager, stando all’ultimo Global Sustinable investment review, crescono le masse impegnate in investimenti socialmente responsabili: nel 2016 hanno sfiorato i 23mila miliardi di dollari, corrispondenti a circa il 26% dell’asset management globale.

Occorre fare attenzione però a non confondere tale approccio di sostenibilità con una “finanza etica”.Questa sembra richiamare infatti concetti di ordine morale quasi in contrapposizione a quello della ricerca di profitto, spesso declinato con un accento fin troppo negativo. Una distinzione doverosa poiché l’integrazione della tradizionale analisi finanziaria con i vincoli basati sui parametri ESG, strategie SRI e investimenti a impatto sociale rende più performanti i portafogli nel lungo periodo. I dati parlano chiaro: una ricerca effettuata dal Politecnico di Milano in collaborazione con una nota Sim, riporta come in dieci anni l’indice MSCI World SRI abbia performato di circa dieci punti percentuali meglio dell’indice “tradizionale”. Inoltre il mercato europeo vale da solo circa la metà dell’universo SRI, testimonianza di come l’attenzione alla sostenibilità trovi nel Vecchio Continente un terreno fertile per crescere. I tempi sono dunque maturi per un cambio di approccio in cui una certa “finanza tradizionale”, soggetta spesso a logiche speculative con view di rendimento di breve periodo, lascia il passo a una “finanza nuova e responsabile”.

Diventa allora più semplice comprendere la portata del fenomeno in atto e del contesto in cui gli investitori istituzionali italiani e i protagonisti del welfare privato saranno sempre più proiettati, peraltro come visto, senza rinunciare al rendimento. È dunque possibile conseguire non solo un ritorno in termini diperformance finanziarie per i propri iscritti, ma contribuire a produrre ricadute sociali per l’intera economia nazionale. Si pensi ad esempio agli investimenti infrastrutturali in social housing, in RSA, o in edilizia popolare: per le loro caratteristiche, da un lato ben si sposano con l’orizzonte di investimento di lungo periodo di Fondi Pensione e Casse, e dall’altro possono colmare il vuoto di risorse talvolta lasciato dal settore pubblico. Welfare privato e investitori istituzionali hanno l’opportunità allora di coniugare redditività dei propri patrimoni e ricadute sociali proiettate sempre più verso una dimensione nazionale. La necessità di adeguatezza degli attivi trova ulteriore evidenza nei nuovi bisogni che sempre più si stanno palesando: le sole prestazioni erogate in fase di quiescenza non sono infatti più sufficienti a tutelare le esigenze degli iscritti. C’è bisogno di comportamenti virtuosi e consapevoli del percorso da compiere. Generare dunque benefici e ricadute socio-economiche per la collettività tutta è la prospettiva che gli investitori istituzionali hanno davanti per il prossimo futuro.

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