Evasione, la prova è rafforzata

L’imprenditore non può essere condannato per evasione fiscale solo sulla base di prelievi di cassa ingiustificati. Nel processo penale, infatti, serve molto di più rispetto alle presunzioni sufficienti ai fini dell’accertamento tributario. Ribaltando due gradi di giudizio la Corte di cassazione (sentenza n. 7242 del 18 febbraio 2019) ha accolto il ricorso di un manager condannato per aver prelevato senza alcuna pezza d’appoggio dai conti della società. In particolare all’uomo erano stati contestati ricavi in nero e costi fittizi. Un bilancio, insomma, falsato. Per questo il Tribunale, prima, e la Corte d’appello di Catanzaro lo avevano condannato a oltre un anno di reclusione. La difesa del manager, a questo punto, ha presentato ricorso alla Suprema corte ottenendo l’annullamento con rinvio della condanna. In sostanza, per il legale gli elementi raccolti dall’accusa contro l’imprenditore erano del tutto insufficienti ai fini della condanna penale. Al più potevano essere usati nell’ambito del procedimento amministrativo. La tesi ha fatto breccia presso i Supremi giudici che hanno accolto il gravame confermando e ribadendo il principio secondo il quale le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati previsti dal digs n. 74 del 2000, potendo solamente essere fondamento di elementi indiziar! atti a giustificare l’adozione di misure cautelari reali a carico del soggetto interessato. Si tratta, infatti, come in altra occasione è stato precisato dalla stessa Corte con riferimento alle risultanze derivanti dalla presunzioni previste dal diritto tributario (ed il richiamo era proprio alla riconduzione a ricavi o compensi dei prelevamenti operati dal contribuente), di elementi che non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa. Ora gli atti torneranno a Catanzaro dove un’altra sezione della Corte territoriale dovrà riconsiderare il caso alla luce delle indicazioni ricevute in sede di legittimità.

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