La parola d’ordine del Pd di Nicola Zingaretti sarà “unità “. Niente scatti in avanti del leader, profilo basso e dialogo: almeno questa sarà la ricetta iniziale. Anche la segreteria che varerà entro poche settimane rispecchierà la personalità del segretario, che vuole recuperare una fetta di base che si era allontanata dopo la debà cle al referendum costituzionale del 4 marzo 2016. I primi nomi che circolano sono quelli del team più stretto della sua campagna congressuale, in primis Paolo Gentiloni, destinato alla presidenza del partito. Per la carica di tesoriere al posto del renziano Francesco Bonifazi, dopo il no incassato da Antonio Misiani, i primi rumors suggeriscono di tenere d’occhio Paola De Micheli, ex lettiana di ferro ed ex commissario governativo alla ricostruzione post sisma 2016. Della nuova squadra dovrebbe far parte anche l’eurodeputato David Sassoli, l’ex segretario del Pd Roma, Marco Miccoli, il suo braccio destro in Regione, Massimiliano Smeriglio, e non è escluso che possa essere coinvolta pure Monica Cirinnà , la senatrice che nella scorsa legislatura mise la firma alla legge sulle unioni civili. Almeno un paio di posti in segreteria saranno, poi, riservati alla corrente di Dario Franceschini, il primo dei ‘big’ a schierarsi apertamente per il presidente della Regione Lazio, che sarebbe indeciso sui nomi da indicare. Della rosa di Zingaretti potrebbero far parte anche un esponente vicino a Goffredo Bettini, attuale europarlamentare, per anni ‘anima’ del partito capitolino. Per realizzare una dirigenza che coinvolga il più ampio consenso interno, però, il governatore dovrà necessariamente tendere la mano anche al secondo classificato, Maurizio Martina, a cui sarà data la possibilità di scegliere almeno un componente della prossima segreteria. Nessuna apertura invece a Matteo Renzi, al quale non saranno riservati né fuochi di fila, né tantomeno tappeti rossi. Zinga ha bisogno di tirare una riga sul recente passato, forte anche della grande partecipazione popolare e della robusta affermazione. Senza gesti eclatanti, però. Anche il cambio di rotta sulla comunicazione, infatti, avverrà gradualmente e senza scossoni, proprio per ridurre al minimo i rischi di polemiche a ridosso delle prime due sfide a cui il neo leader sarà chiamato: le elezioni europee e le regionali in Piemonte. Perché entrambi gli appuntamenti avranno una ricaduta a livello nazionale. Il dossier Tav insegna.