Per gli studi professionali la frontiera delle start up

Tra opportunità, ricerca dell’efficienza e del vantaggio competitivo. Su queste aree lavorano circa 410 startup innovative che in tutto il mondo sviluppano soluzioni per i professionisti. Soluzioni che in due casi su tre riguardano i servizi a supporto degli studi. La parte restante punta a disintermediare il rapporto con il cliente. L’offerta più ricca è quella dei legali (40%), seguita da quella per commercialisti (22), consulenti del lavoro (10%) e notai. Un terzo punta a un’offerta che abbraccia più categorie. È questa la fotografia che presenta il rapporto «Start up vs professionisti: amici-nemici?» realizzato dall’Osservatorio professionisti e innovazione digitale del Politecnico di Milano. Poco più di una start up su due è negli Stati Uniti, poco meno di un terzo è in Europa (di cui il 6% in Italia) e un altro 10% ha sede in Asia. «Il dato di 410 start up censite di cui 23 in Italia è in linea con il trend di altri settori considerando che il mondo dei professionisti non brilla per capacità innovativa – spiega Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio professionisti e innovazione digitale del PoliMi -. Le soluzioni pensate puntano a rendere più efficiente le attività di routine o migliorare la visibilità degli studi». In cantiere ci sono soluzioni di intelligenza artificiale e machine learning applicate al mondo legal, per le registrazioni contabili con l’acquisizione e la lettura automatica dei documenti nell’area fiscale. «C’è poi oltre un terzo di applicazioni che puntano a disintermediare il professionista aprendo un nuovo scenario competitivo» rimarca Rorato. Il panorama italiano vede l’interesse verso soluzioni che agevolano l’interoperabilità e la riduzione dei costi. A che cosa puntano le start up italiane? Il focus è sulle professioni giuridiche, pur privilegiando anche i servizi trasversali in un’ottica multidisciplinare. Una su cinque, poi, guarda alla clientela estera. In circa l’80% dei casi si punta a portare nello studio più effidenza, a migliorare il rapporto a volte conflittuale con il cliente e al new business. C’è poi la parte restante, contro una media mondiale del 35%, con la disintermediazione. Vedono così la luce soluzioni come JurisNet, start up che vuole rendere più efficiente e tecnologica la professione legale. Un pool di avvocati mette a disposizione le proprie competenze nelle diverse branche del diritto e, attraverso le piattaforme digitali, fornisce assistenza anche per operazioni straordinarie e turn around, due diligence e corporate governance. JustAvv invece è un marketplace con app e sito in cui si incontrano domanda e offerta di servizi legali. Si seleziona il tipo di consulenza e i professionisti della zona presentano i preventivi. Un modello di business analogo a quello di Outlet legale, portale per aziende e privati che permette di individuare il legale più economico della zona. Vengono indicate delle tariffe benchmark per i vari tipi di attività e i fondatori del sito puntano al mercato delle cause di valore inferiore ai 5omila euro. Per tutte queste realtà il nodo cruciale è quello dei finanziamenti: per trovare i round più generosi bisogna guardare all’Asia dove in media una start up raccoglie 5,7 milioni di dollari. Tra Europa e Usa è un testa a testa intorno a quota 3,7 milioni. In questo quadro la situazione dell’Italia è poco lusinghiera, con una media di 729mila dollari. Nel nostro paese pesa la scarsa propensione agli investimenti di rischio che si somma al lungo periodo di crisi dei fatturati degli studi. «In Italia si fa fatica a creare un terreno fertile per le start up che spesso si devono autofinanziare per lanciare la propria attività – ricorda Elisa Santorsola, codirettore dell’Osservatorio -. Il mercato ha alcune caratteristiche favorevoli come il grande numero di professionisti, mentre la complessità delle norme è una barriera all’ingresso di start up e nuovi operatori soprattutto stranieri».

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