Pensioni anti-inflazione

La grande inflazione degli ultimi mesi spaventa anche i giovani, tanto che è la prima preoccupazione degli under 40 di tutto il mondo. Secondo l’ultima edizione della Deloitte Global GenZ and Millennial Survey, sondaggio condotto in 22 Paesi, il costo della vita è il principale timore per quasi la metà dei Millennial in Italia (46%) e per il 38% della Generazione 2, più della della media globale (42% dei Millennial e 35% della GenZ). L’impennata dei prezzi dell’ultimo anno è un elemento che desta più timori di tutti probabilmente perché le persone di queste due classi di età non hanno mia vissuto gli effetti dell’inflazione a differenza dei loro padri, o nonni, i Baby Boomers, ovvero i nati tra il 1946 e 1964, II termine Generazione Z si riferisce ai nati tra il 1997 e il 2012, mentre i Millennial tra il 1980 e il 1996, L’anno in cui in Italia si è raggiunto il massimo valore medio dell’inflazioneèstatoil 1980 con il 21,2%. Ma c’è un’altra differenza sulle tendenze al risparmio e investimento delle nuove generazioni, evidenziata da Teseo al Salone del Risparmio 2023: se i Baby Boomers mettevano da parte i guadagni per comprarsi lauto o fare un mutuo, i Millennial e la Generazione Z Íí usano per acquistiabreve termine. Questa divergenza si può spiegare anche considerando che le nuove generazioni sono cresciute in un clima di incertezza che le ha portate a doversi adattare rapidamente ai cambiamenti e a trovare soluzioni in autonomia. Al contrario, i Baby Boomers hanno vissuto una prosperità economica che ha permesso loro di affidarsi ad esperti del settore finanziario per in vestire. Ma proprio il ritomo dell’inflazione impone una riflessione soprattutto sui portafogli delle nuove generazioni che sono quelle più esposte al rischio di non avere sufficienti risorse dal sistema pensionistico. La necessità di un maggior sviluppo delle forme di weifare complementare, a partire proprio dai fondi pensione, come emerso anche al Salone del Risparmio {si veda box), diventa ancora più importante considerando le sempre minori risorse pubbliche disponibili, l’enorme debito pubblico e la transizione demografica che, inevitabilmente, produrrà aumenti nella spesa sociale, Anche perché a distanza di 18 anni dall’ultima riforma organica della previdenza complementare, quella del 2005 entrata in vigore nel 2007, la platea dei giovani aderenti ai fondi pensione è ancora bassa. Se l’obiettivo è andare in pensione e salvarsi dall’inflazione, i gestori previdenziali hanno dalla loro diversi strumenti perché grazie al loro orizzonte temporale di lunghissimo periodo posso accedere ad asset class illiquide che a fronte di un vincolo all’investimento offrono un maggior profilo di rendimento. Se i rendimenti sono però un elemento aleatorio, una base di partenza per costruire una pensione di scorta arriva dai costi. «Il costo è l’unico elemento certo che gli investitori possono controllare, tenendo presente che ogni euro che si paga in più per i costi, è un euro che viene tolto ai potenziali rendimenti», sottolinea Simone Resti, responsabile Italia e Sud Europa di Vanguard. Una ricerca della società di gestione giunge alla conclusione che nel rungo periodo, la correlazione esistente tra i costi dei fondi, sia attivi sia passivi, e la loro capacità di generare extra-performance è negativa. Pertanto, afferma lo studio di Vanguard, «un basso impatto dei costi degli investimenti può essere un vahdo elemento per prevederne la loro capacità di generare delle sovra-performance, piuttosto che le loro performance passate». Lo stesso Mario Padula, presidente di Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), sottolinea che «oltre all’asset allocation adottata, alle differenze di rendimento tra fondi pensione contribuisco
no anche i divari nei livelli di costo». E i fondi pensione hanno una disciplina che li rende i prodotti più trasparenti del mercato. Fin dal 2007 devono determinare (secondo criteri omogenei definiti dalla Covip) e pubblicare nelle note informative l’Isc, Indicatore sintetico di costo, che segnala in un unica percentuale tutti i costi gravanti ogni anno sul prodotto su un orizzonte di 2,510 e 35 anni, E, ricorda la Covip, su orizzonti temporali lunghi, come quelli propri dei fondi pensione, anche piccole differenze nei costi producono un impatto rilevante sulla prestazione finale. Ad esempio, calcola la Commissione di vigilanza, a parità di altre condizioni, un capitale di 100 mila euro accumulato in 35 anni su un prodotto con un Isc dell’l% si ridurrebbe di circa il 18% (scendendo a 82.000 euro) nel caso di Isc al 2%. Sul sito della Covip sono riportati per un confronto gli Isc di tutti i fondi pensione negoziali, aperti e pip (piani individuali pensionistici) sul mercato italiano. I comparti previdenziali con Isc più bassi sono i fondi negoziali, comparti dedicati alle vane categorie di professioni: su un periodo di partecipazione di dieci anni il loro Isc medio 2021, dice Covip, è pari allo 0,45%. Per fondi aperti e pip l’Isc sullo stesso orizzonte è rispettivamente 1,36% e 2,18%, Se confrontati con il 2020, i negoziali registrano in media un incremento dello 0,02% ma restano i più economici perché sono organizzazioni no-profit. Viceversa per i fondi pensione aperti e i pip, strumenti di mercato che non sono espressione di una categoria di lavoratori, si riscontrano costi più elevati e una dispersione molto più ampia, come emerge anche dall’analisi di MF-MilanoFinanza. Ad esempio tra i fondi pensione aperti, negli azionari l’Isc a 35 anni più basso è quello della linea Bilanciata del fondo Insieme di Allianz ( 0,75%), il più alto quello di Zed Omifund linea Azionaria di Zurich (2,31%). Tra i pip azionari spicca il profilo Iva Azionario Previdenza di Genertellife (1,04% il suo Isc a 35 anni) che si confronta con la linea più cara, la Bcc Vita Equity Europa Pip (Isc del 3,44%) del pip Modus (chiuso a nuove adesioni). Nei negoziali azionari la linea Crescita di Fonchim ha un Isc dello 0,15% e all’opposto il comparto Azionario di Previambiente lo 0,5%. Ogni lavoratore può scegliere se aderire a un negoziale (se la sua professione lo prevede), a un fondo aperto o a un pip. Ma gli iscritti ai negoziali godono del contributo aggiuntivo del datore di lavoro, non previsto invece nel caso di pip e fondi aperti (a meno che questi non abbiamo siglato un accordo collettivo). Quindi se il lavoratore che dispone di un fondo negoziale si iscrive individualmente a un aperto o a un pip perde tale contributo. Dalla loro i fondi aperti e i pip presentano una maggiore articolazione e in particolare i secondi, essendo prodotti assicurativi, hanno le coperture proprie delle polizze. In generale però, osserva Padula, «a 15 anni dall’entrata in vigore della riforma della previdenza complementare, che mirava tra l’altro a innalzare gli stimoli concorrenziali nel sistema, non si è sviluppata appieno l’auspicata riduzione dei costi che, specie nelle forme di tipo assicurativo, restano in media elevati». Un effetto positivo sulla concorrenza potrebbe arrivare dai Pepp (Pan european pension plan), i nuovi fondi pensione europei nati nel marzo 2022, perché questi strumenti devono offrire ai sottoscrittori una linea di base con un limite annuale di costo dell’l%, livello «che quindi sarebbe inferiore a quello di molti dei prodotti individuali oggi presenti sul mercato italiano», sottolinea Padula, Finora però, a causa di alcuni vincoli normativi, l’offerta di Pepp non è decollata. In Italia, «sarebbe comunque opportuno trarre spunto da alcune delle previsioni dei Pepp per valutare interventi sui prodotti previdenziali individuali che consentano una riduzione dei loro costi. Costi che in molti casi incidono in modo rilevante sul risparmio previdenziale allocato in tali strumenti e rendono più difficile per i lavoratori autonomi tipicamente non compresi nel bacino dei fondi negoziali, la formazione di un proprio risparmio previdenziale complementare», conclude Padula.

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