Opere pubbliche per il lavoro

Investimenti pubblici e politiche attive, due argini alla crisi occupazionale post pandemica. Sbloccare le opere pubbliche e puntare sulle politiche attive di avviamento al lavoro per arginare l’emorragia inarrestabile di posti di lavoro in Italia, sono due misure che sembrano mettere d’accordo maggioranza di governo e opposizione. I decreti che hanno dato il via a 58 cantieri, per un ammontare di circa 66 miliardi di euro, attraverso la previsione di strutture commissariali per la loro gestione, sono una prima preziosa boccata d’ossigeno per la ripartenza economica. Ce ne sono altrettanti pronti a partire una volta che la delicata e complessa macchina burocratica made in Italy riuscirĂ  a superare le infernali pastoie autorizzative. Tirando le somme, dall’altro lato, della resa del Reddito di cittadinanza, emerge la necessitĂ  di procedere a una profonda revisione di una misura che, senza mezzi termini, ha fallito sul piano della ricollocazione dei beneficiari nel mercato del lavoro. Bisogna separare nettamente le misure assistenziali destinate ad aiutare le persone in difficoltĂ , dalle politiche attive di accesso al lavoro che poggiano su ben altri presupposti. Questi i due temi che hanno caratterizzato il Forum «Lavoro da casa o a casa senza lavoro?”» organizzato dalla Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili, presieduta da Luigi Pagliuca, che ha visto protagonisti Antonio Viscomi, deputato del Partito democratico componente della tante di Fratelli d’Italia in Commissione Lavoro. Nel corso dell’incontro Paolo Longoni (consigliere d’amministrazione della Cnpr) ha sottolineato che «una delle componenti fondamentali del lavoro sono le opere pubbliche perchĂ© rappresentano un moltiplicatore dell’economia. Ma spesso i cantieri non partono per motivi burocratici. Soffriamo di iper-regolamentazione. Basti pensare al Codice degli appalti con le sue 22 modifiche negli ultimi anni, gravato da 50 decreti attuativi del Mit e altrettanti dell’Anac. Per non parlare dei blocchi che derivano dalla giustizia con i ricorsi amministrativi sugli appalti e quelli derivanti dai timori dei dipendenti della p.a. nel mettere firme sugli atti. Tutte queste procedure come possono essere semplificate?». Secondo Eleonora Lecchi (Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Bergamo): «Bisogna puntare sulla digitalizzazione se si vuole reagire alla crisi occupazionale. Un processo che presuppone conoscenze approfondite e formazione continua. In molti confondono la digitalizzazione del lavoro con lo smart working. La normalitĂ  non è l’esperienza fatta nel corso dell’emergenza Covid. Servono modelli di lavoro piĂą attuali e calibrati che poggino sulla cultura digitale. Il mondo delle professioni, per esempio, utilizza piattaforme e siti della Pa bizantini “barcamenandosi” tra modelli sempre diversi. E auspicabile l’uniformitĂ  delle piattaforme e dei programmi».

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