La moglie di Ramy Shaath: “Zaki a processo è un ‘segnale’ di strategia del regime”

BOLOGNA – “Il fatto che sia stato avviato il processo contro il giovane studente dell’Università di Bologna sta a testimoniare un mutamento di strategia da parte del regime che manda più speditamente gli oppositori a processo volendo dare l’illusione che il potere giudiziario sia indipendente e che le inevitabili condanne siano legittime”. Céline Lebrun, moglie di Ramy Shaath, inquadra così la situazione di Patrick Zaki che si avvicina alla seconda udienza del processo a suo carico (in programma martedì prossimo).

Ramy Shaath è l’attivista egiziano-palestinese in carcere da oltre due anni che la Corte di cassazione egiziana ha confermato nella lista degli “individui appartenenti ad entità terroristiche” a luglio scorso. È un attivista per i diritti dei palestinesi, e la commissione parlamentare per i diritti umani ha voluto ascoltare la moglie perchè la situazione di Shaath “ricorda quella di Patrick Zaky”, ha detto il presidente Giorgio Fede (M5s).

Nell’audizione ieri, Lebrun ha spiegato che il marito è attualmente recluso in una cella “molto piccola che divide con altri 18-20 detenuti dotata di un solo piccolo bagno”. La moglie, per tutto il tempo della reclusione, ha potuto parlargli solo due volte e fargli visita una volta sola. Per il resto comunicano solo per lettera. “La sua detenzione è del tutto fuorilegge essendo trascorsi più di due anni dalla sua carcerazione e non potendo quindi tale privazione della libertà rientrare nel periodo di carcerazione preventiva che dura fino a un massimo di due anni. Occorre pieno sostegno da parte della comunità internazionale affinchè tutte le situazioni di detenzione illegittima, che in Egitto sono purtroppo numerose, abbiano finalmente termine”, ha detto Lebrun alla commissione e Fede ha garantito “pieno sostegno e solidarietà”.

Ramy Shaath non è stato ancora sottoposto a processo, che anzi non è ancora programmato: “È detenuto, ma non si sa a che titolo” ed è stato interrogato una sola volta il 6 luglio 2019 “e essenzialmente sulla sua attività politica dalla quale in nessun modo potevano discendere le accuse di terrorismo cui si è giunti successivamente”, ha detto Lebrun aggiungendo poco dopo che, a parer suo, “il caso di Patrick Zaky è non meno sconvolgente”.

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