La spesa per le pensioni sfiora 300 miliardi

Se gli investimenti per l’istruzione e la formazione dei giovani procedono col bilancino, dall’altro lato della “coperta” del bilancio pubblico la spesa per le pensioni continua a lievitare e sfiora or mai 300 miliardi. Mentre la spesa per l’istruzione è rimasta inchioda ta al 3,5% del Pii ormai da molti anni. quella per le pensioni è passata nello stesso periodo dal 14 all’attuale 16.9%, secondo valore al mondo in percentuale dopo la Grecia e più del 30% delle uscite complessi ve dello Stato. Intendiamoci, il fatto che au mentino i pensionati indica che l’aspettativa di vita media continua a salire in Italia, fra le più alte del mondo malgrado l’impennata di decessi degli ultimi due anni a causa del Covid, come certifica la cor,missione Uè, l’abbia abbassata di 1,2 anni riportandoci indietro di quasi dieci (la peggior contrazione del dopoguerra). Il guaio è che nel frattempo continua a diminuire la natalità: l’Istat ha certificato la settimana scorsa l’ennesimo record negativo relativo al 2020, quando i nati sono stati meno di 405mila (15 mila sul 2019), con un’ulteriore accelerazione del calo nel 2021 in cui fra gennaio e settembre le minori nascite sono state 12.500. quasi il doppio dello stesso periodo dell’anno scorso. La popolazione italiana così scende (di 405mila individui nel 2020 rispetto al 2019 fino a 59,2 milioni) e inevitabilmente si ingrossa no le file dei pensionati da “mantenere” con la contribuzione di chi ancora lavora. Il rapporto con la popolazione attiva è già ampia mente sotto il livello di guardia (1:1,87 agli ultimi conteggi) e la parità (un pensionato per ogni lavoratore) non sembra lontana. Che fare? «Innanzitutto bisogna alzare una volta per tutte l’età pensionabile», taglia corto Tito Boeri, l’economista della Bocconi che è stato fino al 2019 presidente dell’Inps. La riforma Fornero era chiara: 42 anni e 10 mesi di contribuzione per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne nel caso dell'”anzianità” (ribattezzata “anticipata”) oppure 67 anni d’età e 20 di contributi nel caso della “vecchiaia”. Ma poi la riforma è stata annacquata, bypassata, derogata da una serie di misure, ultima la “quota 100” (costata, comunica l’Inps, oltre 11 miliardi), a ognuna delle quali è corrisposto un ulteriore “upgrade” della spesa. «È un costume tutto italiano con un’infinità di precedenti cominciato con le “baby pensioni” del governo Rumor nel 1973 e proseguito fino a oggi in una rincorsa che sembra inarrestabile di provvedimenti settoriali e clientelari, spezzettati e controproducenti», accusa Boeri, che per riequilibrare la penalizzazione rispetto agli stanziamenti per i giovani avanza una proposta: «Si potrebbe introdurre una norma per mettere a carico della fiscalità generale, che comprende naturalmente i contribuenti pensionati, i contributi dei neoassunti, diciamo fino a 35 anni: si otterrebbe così una certa redistribuzione fiscale, si alzerebbe almeno un po’ la busta paga dei giovani, insomma si ridurrebbe il disallineamento derivante da anni di provvedimenti ossessivamente rivolti agli anziani dimenticando i ragazzi». Provvedimenti che hanno via via scavato un solco sempre più profondo fra le generazioni, come prova l’indice del divario generazionale elaborato ogni anno da un team della Luiss (coordinato da Luciano Monti e Fabio Marchetti): una specie di algoritmo che considera i tempi e le difficoltà perché un giovane trovi un lavoro decentemente stabile e retribuito che gli permetta di cominciare a mettere da parte la futura pensione, una casa minimamente confortevole, uno status che gli consenta di poter mettere in cantiere un figlio. Considerando quest’indice pari a 100 nel 2006, non ha fatto che peggiorare: nel 2021 (le conclusioni verranno presentate al governo nel gennaio prossimo e pubblicate dalla Fondazione Bruno Visentini) è già arrivato ben oltre quota 140. E la situazione peggiora ancora se vivi al Sud, peggio che mai se sei una donna del Sud. Eppure, dal conseguimento di una posizione ragionevolmente stabile di chi oggi è giovane dipende – oltre allo sviluppo del Paese – la stessa sostenibilità del sistema pensionistico.

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