Crediti p.a., aiuti alle imprese

Una ciambella di salvataggio per le pmi in difficoltà a causa dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione. Le imprese che, pur presentando buone performance aziendali, non riescono a onorare i prestiti contratti con banche e intermediari finanziari perché hanno crediti commerciali incagliati con la p.a. potranno contare su una dotazione di 50 milioni di euro a valere sul Fondo di garanzia per le pmi. La cifra, secondo i calcoli del governo, dovrebbe essere sufficiente ad aiutare in prima battuta 1.600/1.700 imprese. Per beneficiare degli aiuti, l’impresa dovrà sottoscrivere con la banca un piano di rientro di durata non superiore a 20 anni pari all’ammontare del finanziamento non rimborsato maggiorato degli interessi contrattuali e di mora. E dovrà cedere alla banca i crediti vantati nei confronti della p.a. per un importo pari al finanziamento non ancora rimborsato. Solo così si attiverà la procedura prevista dal decreto legge semplificazione che prevede la copertura fino all’80%, e comunque fino a un massimo di 2,5 milioni di euro, del minore tra l’importo del finanziamento residuo e l’ammontare dei crediti vantati dalla pmi verso la pubblica amministrazione. Quando il credito sarà stato pagato da parte della pubblica amministrazione, la banca potrà ritenersi integralmente soddisfatta. E quindi la garanzia decadrà, essendo la banca rientrata dalla propria esposizione. Se il credito pagato dalla p.a. dovesse essere superiore rispetto a quello dovuto alla banca, l’eventuale eccedenza sarà restituita all’impresa. Viceversa, nel caso in cui la pmi beneficiaria del piano di rientro non riesca a onorare gli impegni, l’istituto di credito avrà titolo a escutere la garanzia prevista dalla sezione speciale del Fondo per le pmi. È questa, in estrema sintesi, la ricetta che il decreto legge sulle semplificazioni, varato lunedì scorso dal consiglio dei ministri, prevede per fronteggiare l’innalzamento dei tempi medi di pagamento della pubblica amministrazione che nel 2018 sono tornati a salire, attestandosi in media a 104 giorni. Troppo, se si considera che le norme europee prevedono una tempistica di 30 giorni che può arrivare a 60 solo per alcune particolari tipologie di forniture. Nel 2017 i debiti venivano pagati in media dopo 95 giorni, ma ora con una tempistica di 104 giorni, più alta di 63 giorni rispetto alla media europea, l’Italia è tornata a essere la maglia nera in Europa sui tempi di pagamento. Sui 160 miliardi di euro che rappresentano l’ammontare delle transazioni aperte da parte delle p.a., la quota per la quale si registrano ritardi di pagamento ammonta a 38 miliardi. La relazione d’accompagnamento al decreto non si addentra nel quantificare quanta parte di questi 38 miliardi di debiti, per i quali si registrano ritardi da parte della p.a., sia attribuibile a crediti vantati da imprese di piccole e media dimensione. «Si può ritenere che solamente una parte, seppur non trascurabile, dei 38 miliardi di euro possa essere attribuibile a tale tipologia di situazioni e che possa, dunque, rientrare nel perimetro dell’intervento», ammette la relazione al decreto legge. Per questo, una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro, seppur ridotta rispetto allo stanziamento iniziale (nelle prime bozze di decreto le risorse destinate a questo intervento ammontavano a 200 milioni) dovrebbe consentire, nelle stime del governo, l’erogazione di garanzie per circa 300-350 milioni. Una cifra che, ipotizzando un valore medio della garanzia rilasciata dal Fondo pari a 150 mila euro per impresa, consentirebbe, come detto, di sostenere in prima battuta circa 1.600-1.700 piccole e medie imprese. Domicilio digitale. Un’altra significativa novità del decreto semplificazioni riguarda il domicilio digitale, ossia l’obbligo per le p.a di comunicare al ministero della giustizia il proprio indirizzo di posta elettronica certificata presso cui ricevere comunicazioni e notificazioni. L’obbligo, previsto dall’art.16 comma 12 del dl 179/2012, spiega la relazione di accompagnamento al dl, è stato tuttavia disatteso da molte amministrazioni (soprattutto enti locali) con la conseguenza che, in assenza di un indirizzo Pec presso cui notificare atti giudiziari nei confronti della p.a., gli operatori giuridici si trovano costretti a dover utilizzare gli strumenti tradizionali (ufficiale giudiziario o spedizione a mezzo posta). Di qui la norma del dl che obbliga le pubbliche amministrazioni a provvedere, comunicando al dicastero di via Arenula il proprio indirizzo Pec presso cui ricevere comunicazioni e notificazioni.

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