Lo spettro della nazionalizzazione della Banca d’Italia (l’ipotesi, cioè, di trasferire, a decorrere dal lo marzo 2019, al ministero dell’economia e finanze le quote di capitale dell’Istituto di via Nazionale detenute da soggetti privati, acquisendole al «loro valore nominale» secondo la legge 141 del 1938) agita i sonni delle Casse di previdenza dei professionisti, che temono per le sorti dei propri investimenti. Ad andare nella direzione di consentire che nelle «vene» di palazzo Koch debbano affluire soltanto risorse pubbliche è una proposta di legge di Fratelli d’Italia, che ha iniziato in questi giorni il suo iter nella commissione Finanze della Camera, avendo come relatrice una parlamentare della maggioranza, Francesca Anna Ruggiero (M5s). Circostanza, questa, che crea inquietudine nell’Adepp (l’Associazione degli Enti previdenziali privati), alla luce, tra l’altro, di un recentissimo aumento delle quote detenute all’interno del suo perimetro: se, infatti, lo scorso anno la percentuale era del 14,53% (quando era diventato, subito dopo Intesa San Paolo, il «secondo maggior azionista», avendovi investito globalmente «oltre un miliardo e ottantaquattro milioni di euro», si veda ItaliaOggi del 30 marzo 2018), l’ultima rilevazione del capitale di Bankitalia vede un’ascesa fino al 15,71%, giacché se l’Enpam (medici e odontoiatri), Inarcassa (architetti ed ingegneri) Cassa forense (avvocati) ne avevano già il 3% (che è la soglia limite fissata dall’Istituto), a salire sullo stesso gradino c’è adesso la Cnpadc (dottori commercialisti) che nel 2018 era al 2%, poi c’è l’Enpaia (impiegati e dirigenti dell’agricoltura) al 2,15%, l’Enpacl (consulenti del lavoro) allo 0,93%, la Cassa ragionieri (0,5%) e, infine, l’Enpap (psicologi) con lo 0,13%. Lo sconcerto dell’Ade??, dinanzi ad un’iniziativa che si prefigge di «restituire la Banca d’Italia all’esclusiva proprietà pubblica» (volendo, in particolare, abrogare le norme del decreto legge 133/2013, che ne hanno modificato l’assetto, aprendo così ai privati), si concentra soprattutto sull’idea di veder crollare il valore delle quote possedute: a fronte di un valore nominale di acquisto di 25 mila euro per quota, è stato calcolato, infatti, verrebbe corrisposto un indennizzo di 0,52 euro.