Il dossier previdenza resta sempre aperto

Due proroghe (Ape sociale e opzione donna), un ritocco quasi impercettibile alla rivalutazione degli assegni in pagamento, un addio per esaurimento del periodo di sperimentazione previsto (Ape volontario e aziendale). Il 2020 porta pochissime novità previdenziali e, unito al fatto che non è un anno di adeguamento dei requisiti alla variazione della speranza di vita, ne deriva un quadro complessivo sostanzialmente immutato rispetto all’anno scorso. Dopo gli interventi rilevanti, messi in campo nel 2019, con il debutto di quota 100 e il congelamento fino al 2026 dell’adeguamento dei requisiti per varie tipologie di pensionamento, è come se il sistema previdenziale definito dalla riforma di fine 2011 sia stato congelato. Oltre quota 100 Sono state accantonate le ipotesi di rimettere mano a quota 100, riducendone già da quest’anno il periodo utile per accedervi (dal 2021 al 2020), così come gli interventi per posticiparne ulteriormente la decorrenza al fine di ridurne i costi. È vero che quota 100 è stata utilizzata meno di quanto si eraipotizzato, ma le riflessioni fatte sul suo futuro nei mesi scorsi hanno reso evidente un problema: quando si introducono degli “sconti” considerevoli ma temporanei rispetto ai requisiti standard, si pone il problema di gestire il periodo successivo. Così il governo si è già interrogato su cosa fare nel 2022, quando quota 100 dovrebbe concludersi. Secondo i progetti della Lega, la quota avrebbe dovuto essere sostituita dalla pensione anticipata accessibile con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età (attualmente un’opzione riservata a chi ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni, mentre per gli altri servono 42 anni e io mesi se uomini e 41 anni e io mesi se donne). Ora tale strada sembra non più percorribile, dati i costi elevati che ne deriverebbero. Ma tra il 20210 il 2022 si rischia di passare dal pensionamento a 62 anni e 38 di contributi a quello a 67 (vecchiaia) o 42 anni e io mesi di contributi (anticipata). Uno scalino di anni, che nemmeno con la riforma del 2011 si è verificato. Peraltro si sa già che l’anno prossimo l’adeguamento dei requisiti alla speranza di vita, per il biennio 20212022, non porterà alcun aumento degli stessi. Tutto fermo, dunque, tutto congelato. Chi ha la possibilità di andare in pensione nel 2020 con qualche anno di anticipo rispetto alle uscite standard, quindi, potrebbe cogliere l’occasione. Perché è vero che anche nel 2021 poco dovrebbe cambiare, ma è pur vero che, il passato lo insegna, l’ambito previdenziale è oggetto di continui ritocchi e se lo stato di salute dei conti nazionali dovesse peggiorare sensibilmente, volenti o nolenti si dovrà intervenire. Assegno e adeguatezza A frenare le uscite c’è il tema dell’adeguatezza dell’assegno alle necessità econo miche di ognuno. Perché il sistema contributivo, che con il passare del tempo incide sempre di più sul calcolo della pensione, sta insegnando a tutti che prima ci si ritira dal lavoro e più basso è l’importo dell’assegno previdenziale mentre, al contrario, rimanervi 2-3 anni in più può garantire un valore ben più consistente. Questa può quindi essere una valida spiegazione del perché quota 100 stia raccogliendo meno adesioni di quanto stimato (anche se va detto che le previsioni fatte in occasione di provvedimenti normativi in materia previdenziale negli ultimi anni più volte si sono dimostrate abbondanti rispetto a quanto si è poi verificato in concreto). Flessibilità necessaria La richiesta di flessibilità comunque c’è, come dimostrato dalle poche decine di migliaia di persone che utilizzano i canali riservati a chi svolge mansioni usuranti o alle lavoratrici, per esempio. La normativa che riguarda quest’ultime, introdotta in via sperimentale nel 2004 inizialmente per un decennio, è stata prorogata più volte e viene usata da donne che in questo modo accedono alla pensione in media a 60-61 anni, seppur con una riduzione dell’importo dell’assegno. Non ha ottenuto successo, invece, l’Ape volontario, lo scivolo in gran parte finanziato dal beneficiario dello stesso. Uno strumento complesso, che forse ha pagato il fatto di basarsi su un prestito con conseguente piano di ammortamento, ma che ha sicuramente subito la concorrenza di quota 100. Inoltre uno è un percorso di avvicinamento, l’altra una pensione vera e propria e ciò da un punto di vista psicologico può incidere sulle scelte dei singoli. Peccato però che per lo Stato la quota costi molto di più dell’anticipo: miliardi invece di qualche decina di milioni.

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