2050, l’Italia in pensione

Sarà un panorama desolante quello che apparirà quando il 1° gennaio dell’anno 2050 sorgerà il sole sull’Italia. Saremo molti meno, saremo molto più vecchi, il Pii del nostro Paese si sarà ridotto e avremo abbandonato le posizioni di testa nelle classifiche internazionali. Le nostre pensioni e la nostra sanità costeranno molto, livelli difficilmente sostenibili per le finanze pubbliche. In quell’inverno del 2050 farà più caldo e molti posti di lavoro saranno stati occupati dai robot. I prossimi trent’anni saranno decisi vi per il destino della Penisola, ma le scelte di fondo vanno adottate oggi. Economisti, demografi e sociologi stanno già facendo girare i propri modelli. La risposta è che la linea di tendenza ci sta portando fuori dal nucleo dei Paesi più ricchi e che se non agiremo al più presto non saremo più in grado di fare retromarcia.Lo scenario che i ragazzi della classe 2020, figli dei millennials e nipoti dei baby boomers, si troveranno davanti è terrificante. La prima variabile, quella che è già scritta nei comportamenti consolidati, è quella demografica. Il dato più semplice da capire è quello della popolazione, tracciato dall’Istat: oggi, da Palermo a Bolzano, siamo 60,7 milioni. Nel 2050 saremo circa 2 milioni di meno, ovvero 58,9 milioni. Il motivo è facile da comprendere: abbiamo già fatto meno figli, ormai se ne “sforna” 1,29 per donna adulta e di conseguenza i nuovi nati non riescono a rimpiazzare coloro che se ne vanno. Per capirci: nel 2019 sono nati 435 mila bambini e ci hanno lasciato 647 mila italiani: nei prossimi trent’anni le nascite scenderanno di poco e i decessi quasi raddoppieranno intorno alla fine degli anni Cinquanta di questo secolo. Ogni generazione sarà più esile di quella che l’ha preceduta. Siamo di meno, produciamo di meno e consumiamo meno. Tanto basterebbe per prospettare stime di crescita assai basse di qui al 2050. Fa testo un drammatico e dettagliato studio della Banca d’Italia, si intitola “Contributo della demografia alla crescita economica” (Barbiellini Amidei, Gomellini, Piselli). La tesi centrale è che se tutte le variabili economiche rimanessero “fotografate” al 2017, dalla produttività, al tasso di occupazione, al tasso di qualità del capitale umano, e l’unica variabile a muoversi fosse quella della diminuzione della popolazione, il Pii nel 2061 avrebbe una contrazione del 24,4 per cento. Uno scenario apocalittico che l’Occasional paper, di appena due anni fa, utilizza per svegliare le coscienze. Si può contrastare questa tendenza? Teoricamente sì. Il risultato potrebbe essere ribaltato, segnando al 2061 una crescita complessiva del 20,2 per cento del Pii rispetto ad oggi. Come? Con un aumento del tasso di produttività annua dell’1 per cento. Il sospiro di sollievo si spegne in gola se solo si pensa che negli ultimi anni la nostra produttività è stata assai vicina allo zero e non c’è stato modo di schiodarla. Lo ha capito bene l’unità di ricerca dell’Economist che nel suo rapporto “The world 2050” ha declassato l’Italia nella classifica del Pii mondiale, calcolato a parità di potere d’acquisto, dal 12° posto del 2016 al 21° del 2050. Lo stesso trattamento ci è stato riservato in una analisi sui megatrend economici della Goldman Sachs e di BlackRock. Il problema è ben più grave di quanto possa apparire. Bisogna considerare che i pochi bambini di oggi, trentenni nel 2050, dovranno convivere con un Paese di vecchi, grigi millenniais e decrepiti baby boomers. Basti pensare che il picco d’invecchiamento colpirà l’Italia tra il 2045 e il 2050 quando gli over 65 saranno il 34 per cento della popolazione. Terrificante il dato sugli over 80: secondo un rapporto della Commissione europea saranno il 14 per cento del totale della popolazione, il doppio di oggi. Molti vecchi significa anche un capitale umano che rischia di essere obsoleto, una produttività calante. Anche se c’è chi come Alberto Brambilla, di Itinerari previdenziali, è più ottimista e vede l’aspetto positivo della situazione: «Teniamo conto anche della silver economy, cioè delle capacità di consumo degli anziani che deterranno in futuro fino al 70 per cento del patrimonio complessivo». A conti fatti tuttavia i nati nel 2020 tra trent’anni dovranno vedersela con un Pii che secondo lo scenario EPC-WGA, cioè il Working Group on Ageing redatto in sede europea, e riportato nei documenti della Ragioneria generale dello Stato, crescerà dello 0,9 per cento, ancora metà della media europea. Così non c’è da meravigliarsi che le tabelle in questione indichino per il 2050 un tasso di disoccupazione ancora al 7,4 per cento. Sorprendente? Fino a un certo punto: basta vedere le previsioni megatrend elaborate recentemente da McKinsey. Stimano che già nel 2030 nel mondo scompariranno per robot e nuove tecnologie tra i 400 e gli 800 milioni di posti di lavoro, cioè tra il 15 e il 30 per cento del totale. L’Italia si collocherà a metà strada: è prevista una perdita del 25 per cento. Di questi scenari demografici e occupazionali risentirà la sostenibilità del sistema previdenziale. La spesa sul Pii salirà dal 15,8 per cento di quest’anno al 17 per cento del 2050. 117,9 milioni di pensionati ci costeranno 336,3 miliardi contro i 254,6 di oggi, 80 miliardi in più. Quello che l’Istat chiama “indice di dipendenza” da la misura di quanti anziani vengono “mantenuti” da chi lavora: oggi gli over 65 ogni 100 cittadini in età lavorativa sono il 39,1 per cento, nel 2050 arriveranno quasi al 70 per cento. È vero che le riforme degli ultimi anni, come quella del 1994 che ha introdotto il sistema contributivo dal 2036, abbatteranno i costi, ma è vero anche che camminiamo sul ciglio del burrone e non possiamo permetterci passi falsi come Quota 100. Anche la spesa sanitaria risentirà dell’invecchiamento, inutile illuderci. La spesa farmaceutica, ad esempio, negli ultimi due anni di vita di una persona è maggiore di quella sostenuta nell’arco dell’intera vita. Basti questo per capire l’allarme: la spesa rispetto al Pii è oggi del 6,6 per cento e sarà del 7,8 per cento nel 2050. NUOVE POLITICHE Come uscirne? Certo politiche per i figli e la famiglia, anche se bisogna considerare che la rincorsa a un quadro demografico già tracciato sarebbe già perduta. La risorsa bella e pronta si chiama immigrazione: basti pensare che lo studio Tra ¡I 2045 e ¡I 2050 gli over 65 saranno oltre un terzo della popolazione Pensioni e sanità peseranno sempre più sui conti pubblici. E l’Italia scivolerà in basso nelle classifiche della crescita L’opinione Secondo la Banca d’Italia il numero di immigrati è destinato a ridursi progressivamente. E nel 2041 anche il contributo al Prodotto interno lordo di questa componente diventerà negativo di Bankitalia citato ci dice che nel decennio 2001-2011 senza la componente straniera il Pii italiano avrebbe subito un calo del 3 per cento. Per il futuro la partita sarà dura: basti considerare che i 337 mila immigrati del 2016 sono destinati a ridursi a 271 mila nel 2065. L’Istat e la Ragioneria dello Stato prevedono un «significativo ridimensionamento» della componente immigrazione; inoltre l’appeal dell’Italia sembra calare e anche i nostri giovani prendono la via dell’estero con maggiore facilità: se ne andranno in 6,6 milioni di qui al 2065. Dal 2041, dice Bankitalia, il contributo dell’immigrazione al Pii diventerà negativo. Inutile dire che l’imperativo per ribaltare questa situazione è che l’Italia ritrovi fiducia. E sia sia disposta a rimboccarsi le maniche. E C’È PURE IL CLIMATE CHANGE C’è anche ¡l climate change da mettere in conto nelle previsioni da qui al 2050. Un recente studio delta McKinsey punta ¡’indice sul rischio di perdita di valore degli asset immobiliari: i rapidi cambiamenti climatici, dice, non rendono valutabili i rischi sul lungo periodo, impattano sui costi di assicurazione e abbattono i valori degli asset, Tanto per essere chiara McKinsey fa una cifra: le inondazioni in Florida potranno far deprezzare il valore delle abitazioni dai 30 agli 80 miliardi di dollari o, in altre parole, perdere dal 5 al 35 per cento del valore da qui ai 2050. Che valore dare ad un mutuo? O ad una obbligazione? Come assicurare un futuro sempre più incerto? Non a caso Kristalina Georgieva, direttore dell’Fmi, nei suo discorso ai Peterson Institute di Washington ha messo in guardia contro i rischi, insieme a quelli di tradizionali, di uno shock finanziario legato all’emergenza climatica, Fenomeni globali dai quali l’Italia non si potrà sottrarre

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