Ci si mette pure la burocrazia. Con leggi, circolari e disposizioni varie che complicano la vita alle aziende italiane già alle prese con la crisi economica legata al coronavirus. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, l’associazione che rappresenta gli artigiani e le pmi, il coacervo di cavilli e fiscalismi costa alle imprese 57,2 miliardi di euro l’anno. Con i recenti decreti governativi che hanno intricato ancor più le cose. Il meccanismo farraginoso che caratterizza la gestione aziendale, per la Cgia, rende sempre più difficile il rapporto tra le imprese e la Pubblica amministrazione. E i vari Dpcm emanati dall’esecutivo di Giuseppe Conte non hanno certo facilitato le cose. Anzi. «Basti pensare che al netto delle disposizioni prese dalle singole regioni», si legge in una nota dell’associazione, «in questi ultimi due mesi, per fronteggiare l’emergenza Covid-19, il governo ha approvato una dozzina di decreti costituiti da oltre 170 pagine». «Molti dei quali», ha segnalato la Cgia, «pressoché indecifrabili: come il decreto liquidità, che ha messo in grosse difficoltà le strutture operative sia delle banche sia del fondo di garanzia gestito dal Mediocredito centrale. A distanza di dieci giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale nessuna impresa è ancora riuscita a ottenere un euro di prestito». A questo penserà l’Abi, che si è detta pronta a sostenere finanziariamente le pmi in tempi rapidi. Al cumulo di norme, nel frattempo, si aggiungono le richieste degli imprenditori. «Commercialisti, consulenti del lavoro e associazioni di categoria sono letteralmente sommersi dalle telefonate degli imprenditori che non sanno se e come possono far slittare il pagamento delle tasse, come ricorrere alla cig, quando verrà erogata ai propri dipendenti o se possono tornare a operare». Una somma, quella di oltre 57 miliardi, che grava sui bilanci delle aziende già martoriati dalle conseguenze economiche dell’epidemia. Che, sempre secondo la Cgia, su scala nazionale ha già portato alla chiusura di sei attività artigiane su dieci con una perdita di almeno 7 miliardi di euro di fatturato in un solo mese, dal 12 marzo al 13 aprile. Il settore, già prima dell’emergenza sanitaria, dal 2009 al 2019 aveva certificato la fine di 180 mila attività artigiane. Con arrotini, mugnai, materassai e scalpellini in via di estinzione. Dati drammatici. Con la una burocrazia che anziché snellirsi si accentua. «In Italia si stimano 160 mila norme, di cui 71 mila promulgate a livello centrale e le rimanenti a livello regionale e locale», ha sottolineato il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo. «In Francia, invece, sono 7 mila, in Germania 5.500 e nel Regno Unito 3 mila. Tuttavia la responsabilità di questa iper legiferazione è ascrivibile alla mancata abrogazione delle leggi concorrenti e al fatto che il nostro quadro normativo, negli ultimi decenni, ha visto aumentare esponenzialmente il ricorso ai decreti legislativi che per essere operativi richiedono l’approvazione di numerosi decreti attuativi». «Questa procedura», ha aggiunto Zabeo, «ha aumentato a dismisura la produzione normativa in Italia, gettando nello sconforto cittadini e imprese che ogni giorno sono chiamati a rispettarla».
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