Oltre ai 25 miliardi necessari a replicare e rafforzare nei mesi in arrivo le misure anticrisi, la richiesta governativa di nuovo deficit che sarà esaminata la prossima settimana dal Parlamento guarda ai prossimi anni. Per il 2021 prevede 6,1 miliardi di disavanzo aggiuntivo, e nei piani del governo un miliardo abbondante dovrebbe essere dedicato alla lotta al contante. In campo dovrebbe tornare il fondo per il cashless che nell’ultima legge di bilancio aveva rappresentato uno dei capitoli più cari al premier Conte: capitolo dotato di tre miliardi, per invogliare gli italiani ad abbandonare la cartamoneta, che però erano sfumati in fretta nel decretone anticrisi di maggio. Ma a quanto pare la rinuncia è solo temporanea: e il decreto atteso per la prima metà di agosto si occuperà anche di ricostruire il fondo. In formato ridotto rispetto all’originale, almeno per ora. La battaglia contro il contante non è del resto tema che appassiona solo Palazzo Chigi. Al ministero dell’Economia sono stati riaperti in fretta i fascicoli della riforma fiscale abbandonati nel pieno dell’emergenza sanitaria. La riforma, che non può essere finanziata con le risorse comunitarie, dovrà trovare coperture strutturali domestiche per partire davvero. E in questo quadro il binomio lotta all’evasione-battaglia al contante diventa centrale nella strategia costruita dal governo. Soprattutto per dare gambe all’ambizione di costruire per gli autonomi un “fisco per cassa” in grado di abbandonare saldi, acconti e modelli matematici di determinazione dell’imponibile presunto. L’idea di base di questo nuovo fisco, rilanciato nei giorni scorsi dallo stesso Gualtieri alta Camera, è di far calcolare direttamente dall’amministrazione finanziaria le imposte dovute sulla base degli incassi effettivi. Ma è ovvio che gli incassi devono essere tracciabili. Arriva anche da qui l’urgenza di rimettere in piedi un sistema che dalla girandola dei provvedimenti anticrisi è uscito azzoppato. Perché l’architettura pensata nella legge di bilancio 2020 poggiava su due pilastri: il bastone fatto da obblighi e divieti e la carota degli incentivi . Il primo è rimasto, e si fa sentire dal i0 luglio : impedisce l’utilizzo di una serie di detrazioni fiscali per le spese fatte con strumenti non tracciabili, vieta pagamenti in contanti superiori a 2mila euro (il vecchio limite era a 3mila). La seconda è stata parecchio tagliata: è attivo, sempre dal 1° luglio, il credito d’imposta del 30% sulle commissioni sostenute da esercenti e professionisti per i pagamenti tramite Pos. Ma manca, appunto, la pane più importante, quella dei bonus per favorire il cambio di abitudini degli italiani, uno dei popoli occidentali più affezionati al contante. I tré miliardi cancellati dal decreto 34 sarebbero serviti, secondo le intenzioni originarie, a finanziare il « bonus Befana», che a gennaio avrebbe premiato gli acquisti tracciabili del 2020. Ma la macchina è stata fermata dalla crisi, insieme all’ennesimo ripescaggio di una lotteria degli scontrini che nonostante anni di promesse non è ancora riuscita a vedere la prima estrazione. Il decreto di agosto servirà anche a riaprire questo filone. Ma prima di tutto dovranno trovare un assetto stabile i 25 miliardi di nuovo deficit chiesti per quest’anno. Il canovaccio, anticipato nei giorni scorsi da questo giornale, è definito : 10 miliardi andrebbero a Cig e lavoro, 5,2 a Regioni ed enti locali, 3,8 ai rinvii delle tasse, 1,2-1,3 alla scuola e circa 800 milioni at fondo di garanzia Pmi. Ma le discussioni si stanno accendendo sia nella maggioranza sia con l’opposizione.
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